lunedì 5 aprile 2010

Virtù

DI JIDDU KRISHNAMURTI

fiore

La virtù è del cuore e non della mente. Quando la mente coltiva la virtù, non è che calcolo astuto; è un'autodifesa, un abile adattamento all'ambiente. La perfezione di se stessi è la negazione medesima della virtù. Come può esserci virtù dove c'è paura? La paura è della mente e non del cuore. La paura si cela sotto forme diverse: virtù, rispettabilità, adattamento, servire e così via. La paura esisterà sempre nei rapporti e nelle attività mentali. La mente non è separata dalle sue attività; ma separa se stessa, dandosi così continuità e permanenza.

Come un bimbo si esercita al pianoforte, così la mente abilmente pratica la virtù, per rendersi più durevole e dominante nell'affrontare la vita o nel conseguire ciò che ritiene essere più elevato. Ci deve essere vulnerabilità nell'affrontare la vita e non la rispettabile muraglia della virtù che t'imprigiona. Ciò che è più elevato non può essere raggiunto; non c'è strada, nessuno sviluppo matematicamente progressivo, in quella direzione. La verità deve venire, tu non puoi andare alla verità e la tua virtù coltivata non ti ci porterà. Ciò che tu raggiungi non è la verità, ma la proiezione del tuo desiderio; e soltanto nella verità c'è la felicità. La scaltra adattabilità della mente al suo proprio perpetuarsi alimenta la paura. E' questa paura che bisogna profondamente capire, e non come si debba essere virtuosi. Una mente meschina può mettere in pratica la virtù, ma resterà pur sempre meschina. La virtù è dunque un'evasione dalla propria meschinità e la virtù che essa raccoglierà sarà pertanto meschina essa pure. Se non si comprende questa meschinità, come potrà esservi sperimentazione della realtà? Come potrà una mente ristretta e virtuosa essere aperta all'incommensurabile?

Nel comprendere il processo della mente, che è l'io, la virtù viene in essere. La virtù non è resistenza accumulata; è la coscienza spontanea e la comprensione di ciò che è. La mente non può comprendere; può tradurre in azione ciò che è stato inteso, ma non è capace di comprensione. Per comprendere, ci deve essere il calore del riconoscimento e della ricezione, che soltanto il cuore può dare, quando la mente tace. Ma il silenzio della mente non è il risultato di un calcolo sottile. Il desiderio di silenzio è la maledizione del conseguimento, coi suoi dolori e conflitti senza fine. Il desiderio ardente di essere, negativamente o positivamente, è la negazione della virtù del cuore. La virtù non è conflitto e conquista, esercizio prolungato e risultato conseguente, ma uno stato di essere che non è il prodotto della proiezione del desiderio. Non v'è esistenza dove sia lotta per esistere. Nella lotta per essere, c'è resistenza e negazione, mortificazione e rinuncia; ma la vittoria su questa non è virtù. La virtù è la tranquillità che viene dall'essere liberi del desiderio di essere, e questa tranquillità è del cuore, non della mente.

Mediante l'esercizio, la costrizione, la resistenza la mente può darsi tranquillità, ma siffatta disciplina distrugge la virtù del cuore, senza la quale non v'è pace, non v'è benedizione; perché la virtù del cuore è comprensione.

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