mercoledì 29 maggio 2013

La Manipolazione della Mente Attraverso i Media

DI MARCO CANESTRARI

articolo-manipolazione

INFO SULL'EVENTO

Ecco Cosa Vedo e Alternativa di Giulietto Chiesa presentano il corso multimediale: La Manipolazione dei Media Attraverso i Media (in diretta streaming).

Gli incontri saranno volti alla divulgazione delle tecniche che ogni giorno i media utilizzano al fine di controllare le masse e influenzarne i consensi a livello economico e politico. La data di apertura delle conferenze sul controllo masse di Marco Canestrari è il 13 giugno. La location è l'Istituto Statale per Sordi (Via Nomentana 54 - Roma)

Calendario:
13 giugno – ore 18.00: "Introduzione alla Manipolazione" (introduce Giulietto Chiesa)
20 giugno – ore 18.00: "Tecniche e dinamiche di Manipolazione"
27 giugno – ore 18.00: "Come non farsi Manipolare"

Per chi vuole aiutarci nella promozione dell'evento, ecco l'immagine stampabile del volantino.


Ingresso Gratuito, necessaria la prenotazione via mail oppure tel. al 338/5695252. Sarà rilasciato attestato a fine corso.

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lunedì 27 maggio 2013

Economia del Dono

TRADOTTO PER ECV DA ALESSANDRO MAMMOLITI

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERA

Tutti gli esseri viventi hanno una cosa in comune. Ogni uomo, donna, cane, ogni uccello, ape e animale ha una vita sola. Per ogni essere vivente la vita ha un inizio e una fine, e la nostra esistenza è molto breve. La maggior parte di noi vive nella preoccupazione del lavoro, di come guadagnarsi da vivere, di essere puntuali e di altre infinite distrazioni. Queste preoccupazioni ci impediscono di chiederci “Cosa conta? Cosa conta davvero nella vita?”. Concedetevi un minuto, chiudete gli occhi e pensate a cosa conta davvero per voi. Vi aiuto… Non c’ho messo molto a trovare la risposta. Ciò che conta è ovvio – sono le relazioni con gli altri esseri, umani e non, che sono per me della massima importanza. Sono più importanti di qualsiasi lavoro o hobby, più importanti dei miei successi e dei miei fallimenti. Sono ancora più importanti del mio orgoglio o del mio ego. Sì, le relazioni sono ciò che conta di più. Se avete qualche dubbio, provate a immaginare di essere l’unico essere vivente sulla faccia della terra: possedereste tutto, ma non avreste niente.

Se ci fermassimo un momento a far mente locale riguardo al modo in cui le persone trattano il prossimo oggigiorno, avremmo probabilmente più di un dubbio in merito a ciò che conta di più. Facciamo presto a giudicare e a odiare, abbiamo poca pazienza, e ben poca considerazione dello stato emotivo altrui. La violenza sugli animali è dilagante nella nostra società. I programmi televisivi e i film sono pieni di persone che complottano l’uno contro l’altro. Non esitiamo a trasformarci in arrampicatori sociali alle spese dei nostri colleghi. Non c’è dubbio che questi comportamenti non stimolino delle relazioni sane e piacevoli. Nelle società monetizzate occidentali, molti di noi vivono un conflitto interiore. Il conflitto che nasce quando si è costretti a competere con il prossimo per i mezzi di sopravvivenza. Pensateci un attimo: per sopravvivere dobbiamo competere l’uno contro l’altro. E il prezzo della sconfitta di una battaglia del genere ci viene ricordato in continuazione ogni volta che vediamo un senzatetto, un senza speranza nelle vie della nostra città. Ci dicono che non ci sono risorse a sufficienza e che per razionare delle risorse scarse c’è bisogno di un efficiente sistema di distribuzione. Ma la maggior parte dei beni sono in realtà abbondanti – basti pensare a tutti i macchinari o agli spazi abitabili poco o mal utilizzati nei paesi industrializzati. Abbiamo già creato le condizioni per soddisfare ogni bisogno umano, e ogni anno c’è bisogno di sempre meno manodopera per farlo. Le economie di mercato sono tendenzialmente dei fantastici sistemi economici a disposizione delle civiltà che devono sviluppare dei mezzi efficienti per la diffusione dei beni materiali. Ciò nonostante, si rivelano un totale fallimento nella promozione di valori culturali che favoriscano delle relazioni sane e di qualità. Le economie di mercato non riescono a soddisfare, e di fatto ostacolano i bisogni umani non materiali come il bisogno di appartenenza o di intimità, o il desiderio di amore e di calore umano. Approfondite ricerche hanno dimostrato che questi bisogni non materiali sono cruciali per lo sviluppo empatico di noi stessi. La mancata soddisfazione dei bisogni umani fondamentali come quello di appartenenza, di essere apprezzati, di amare ed essere amati non solo riduce la qualità delle nostre relazioni, ma può anche condurre ad un aumento dei comportamenti psicopatici, fobie, sfiducia del prossimo e persino alla morte. Per ottenere successo economico, oltre a possedere delle qualità positive, c’è bisogno di una buona dose di esibizionismo, opportunismo ed egoismo – tutte caratteristiche che danneggiano le relazioni interpersonali. Per avere buone relazioni interpersonali, bisogna essere altruisti, ben disposti a dare e ricevere, oltre a dimostrare una preoccupazione disinteressata nei confronti del prossimo – tutte caratteristiche che ostacolano le nostre capacità di prosperare nel mondo degli affari. Di qui le massime “Non mischiare lavoro e famiglia” e “Non prestare soldi ad amici e parenti”.

Questo conflitto interiore alberga in tutti noi, e può risultare molto difficile vivere in un costante stato di conflitto. Il desiderio dei nostri cuori è quello di dare, ma i nostri egoistici interessi economici lo considerano come un comportamento poco saggio. I nostri cuori ricercano la fiducia, ma noi non siamo più capaci di sopportare nuove delusioni. I nostri cuori hanno una gran voglia di amare ed essere amati, ma il limite di sopportazione del nostro dolore emotivo è già stato oltrepassato. Poiché questo conflitto interiore è insanabile, lo reprimiamo ancora di più e ricerchiamo in sempre nuove forme di intrattenimento– o per meglio dire di distrazione – dei palliativi in cui rifugiarci. La materialità domina incontrastata dunque, semplicemente per il fatto che siamo costretti a sopravvivere. L’economia del dono, al contrario, distribuisce le risorse in base ai bisogni personali per una connessione empatica, compassione e amore per il prossimo. L’economia del dono non è niente di nuovo – già la utilizziamo. Quando provvediamo al sostentamento di un familiare o invitiamo degli amici a cena, non gli portiamo il conto a fine serata. Offriamo liberamente con la tacita consapevolezza che i nostri doni saranno apprezzati poiché ogni dono crea un legame di gratitudine. Più si dona, più gratitudine viene messa in circolazione. Più gratitudine si crea, più si diventa ricchi. L’economia del dono annulla il conflitto interiore che deriva dalla competizione per sostituirlo con il valore della cooperazione. Nel profondo sappiamo che la vita può essere molto più bella – con meno paure, preoccupazioni, controlli e con più amore, compassione ed empatia. Già sappiamo cos’è la cosa più importante. È ora di cominciare a vivere nell’ottica del dono, consapevoli del dono speciale che dobbiamo regalare al mondo. Anche se oggi non abbiamo i mezzi per donare cose materiali, abbiamo il potere di donare il nostro amore, compassione, attenzione e comprensione, senza preoccuparci esclusivamente per noi stessi. Come scrisse Lewis Hyde: Il dono si muove verso lo spazio vuoto. Nel suo movimento circolare si dirige verso colui che è rimasto a mani vuote più a lungo, e se c’è qualcun altro ancor più bisognoso da qualche parte, il dono lascia il suo vecchio oggetto di cura per accorrere verso quest’ultimo. La nostra generosità ci potrà pure lasciare a mani vuote, ma questo vuoto attrae il tutto con gentilezza finché questo moto perpetuo torna ad arricchirci di nuovo. La natura sociale non ammette il vuoto."

Vivere nel dono significa inoltre aprirsi per ricevere, poiché non esiste dono senza qualcuno che sia ben felice di accettarlo. Ogni volta che si riceve un dono, non solo si prova gratitudine per il prezioso regalo ricevuto, ma si rafforza un legame – un legame con un altro essere vivente che condivide la sua vita, l’unica che ha, con te. Che regalo più grande di questo può mai esserci?

FONTE: SUSTAINBLEMAN

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martedì 21 maggio 2013

La Carota e il Bastone della TV

DI MARCO CANESTRARI



Bisogna dunque fare in modo che la popolazione abbia modelli irraggiungibili da seguire e che il singolo si senta perennemente in una condizione di impegno e sforzo. Chi va fuori viene emarginato quindi bisogna impegnarsi spingendo se stessi verso livelli di stress a volte disumani. 

Lavorare sempre di più e rinunciare alla salute, alla calma, al relax, alla riflessione, al divertimento e a tutto ciò che ci allontana dall'acquistare l'ultimo modello di cellulare, la macchina sportiva o il trattamento estetico tanto necessario per la prossima prova costume.

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domenica 19 maggio 2013

Perché le Grandi Idee Arrivano quando meno te lo Aspetti

DI ELISABETTA INTINI

Si dice che quando Archimede Pitagorico esclamò "Eureka!" fosse nudo nella vasca da bagno: l'idea ispiratrice del principio che avrebbe rivoluzionato la fisica dei fluidi gli venne infatti mentre si accingeva a lavarsi. Che le grandi intuizioni arrivino sempre nei momenti in cui non si è particolarmente concentrati su quel problema specifico è cosa risaputa. Ma il motivo all'origine di questo fatto non era ancora del tutto chiaro. Ora uno studio statunitense suggerisce che non siano tanto i momenti di pausa a favorire la creatività e l'ingegno, quanto i momenti in cui lasciamo che la nostra mente vaghi, mentre abbiamo la netta sensazione di perdere del tempo. Per indagare questo fenomeno Benjamin Baird e Jonathan Schooler, due psicologi dell'Università della California, a Santa Barbara, hanno sottoposto a 145 studenti due esercizi che richiedevano di elencare in due minuti il numero maggiore possibile di utilizzi alternativi di oggetti d'uso comune come stuzzicadenti, appendiabiti e mattoncini. Allo scadere del tempo, ai partecipanti è stato concessa una pausa di 12 minuti, durante la quale alcuni hanno semplicemente riposato, altri hanno intrapreso un'attività che richiedeva l'uso della memoria e la piena concentrazione, altri sono stati coinvolti in un'attività poco impegnativa che favoriva la divagazione con la mente. Un ulteriore gruppetto di volontari non ha avuto alcun momento di pausa.
Dove si accende la lampadina di un'idea?

Più creativi
Alla fine del break gli studenti hanno dovuto compiere nuovamente il compito iniziale: coloro che avevano indugiato nell'attività che permetteva alla mente di divagare, questa volta hanno ottenuto nel 41% in più dei casi performance migliori rispetto ai compagni, mentre negli altri soggetti non è stato riscontrato alcun miglioramento, come spiega l'articolo pubblicato sulla rivista scientifica Psychological Science. Un analogo momento in cui la divagazione mentale favorisce la creatività era in precedenza stato riscontrato durante i movimenti oculari ("rapid eye movements") di alcune fasi del sonno. Quello osservato ora sarebbe, secondo alcuni scienziati, il corrispettivo momento creativo di quando siamo svegli.

Elogio della distrazione
Fatto non trascurabile, gli studenti che hanno avuto la possibilità di vagare con la mente non hanno tuttavia ottenuto migliori risultati degli altri nei compiti assegnati per la prima volta. «La divagazione mentale sembra funzionare solo per i compiti che il nostro cervello ha già avuto modo di "masticare"» ha spiegato Baird, «mentre non sembra portare miglioramenti nei compiti generici di problem solving». Lo studio potrebbe far luce su uno dei misteri irrisolti riguardo al funzionamento della mente: perché ci deconcentriamo? Dal punto di vista evolutivo infatti, questo comportamento tipicamente umano è controproducente perché compromette le performance fisiche e mentali degli individui: se l'evoluzione ha permesso al cervello di sviluppare questo meccanismo, potrebbe essere proprio perché permette di lasciar spazio alle intuizioni più creative. «C'è la possibilità che l'evoluzione abbia selezionato questo modo d'agire nel corso del tempo» chiarisce Kounios «ma prima di arrivare a questa conclusione dobbiamo scoprire se questo tratto è determinato geneticamente.

FONTE: FOCUS

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giovedì 16 maggio 2013

Il Mio Primo Risveglio Spirituale

DI FAUNO LAMI


Alcune caratteristiche dello stato di Illuminazione:

- ASSENZA DEL TEMPO: Non esiste lo scorrere del tempo come noi ce lo immaginiamo. Ci sono i ricordi, le aspettative, l'immaginazione, ma tutto nel presente, che cambia ed è VIVO.
- ASSENZA DELL'IO: Non esiste nessun osservatore. Non c'è nessun soggetto che sperimenta, che osserva, che gode. C'è il piacere, l'osservazione, l'azione, ma nessun "io" separato che la compie, non c'è un individuo che rimane immutato nel tempo.
- ESTASI: Nel momento in cui l'io sparisce, il mondo non finisce, anzi possiamo dire che li inizia. C'è ancora azione, c'è movimento, ci sono dei messaggi e c'è una sensazione di piacere benefica, inattaccabile ed infinita.
- COMPLETA SICUREZZA: Quando vediamo che il tempo non scorre, che tutto è adesso, non c'è nessun pericolo che può minacciarci. La paura non ha più alcun senso, quindi sparisce, lasciando spazio alla vita.

Anche dopo aver vissuto questa esperienza si può sempre tornare a credere di essere minacciati e a credersi separati dal resto dell'universo. La vita comprende sempre la possibilità di sbagliarsi e di non avere chiarezza e l'estasi non può essere raccontata, ricordata né accumulata. Sicuramente però lascia un marchio fortissimo, come se per la prima volta nella vita ci si trovasse davanti a qualcosa di certo, di eterno ed inamovibile.

Auguro a tutti di aprirsi a questa esperienza, perché è accessibile a tutti gli uomini: è proprio il posto in cui dovremmo e vorremmo vivere. È la sicurezza che tutti stiamo cercando. Vi auguro tutta la sicurezza e l'affetto che ho ricevuto io. Ciao a tutti i Fauni


Approfondimenti:









Contatti:
Mail: f.lami89@hotmail.it
Facebook: Fauno Lami
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martedì 14 maggio 2013

Attenzioni nell’Uso della TV

ESTRATTO DA UN TESTO DI  LUCA BERETTONI

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I mass media, ed in particolare la TV, hanno cambiato drasticamente le abitudini, l'organizzazione del tempo, le modalità educative e relazionali all'interno delle famiglie dei paesi industrializzati.

A differenza di un tempo, in cui il divertimento diventava un evento sociale e comunitario, attraverso le feste religiose e civili e gli spettacoli collettivi, comunicando sempre agli spettatori un messaggio morale come modello degno di imitazione, nella società attuale il tempo di ricreazione e svago si è trasformato in un fenomeno privato, nell’ascolto e nella visione individuali, percezioni caratterizzate da distacco e indifferenza, anche se ricevute accanto ad altre persone, poiché non sono vissute in comunione con gli altri. La visione continua di programmi televisivi in cui le scene si susseguono incessantemente, accavallandosi, in cui si assiste ad un mutare travolgente di immagini, viene rielaborata ed interiorizzata dall’individuo fin da bambino, influenzando le sue modalità comunicative. I bambini odierni sono contenitori pieni di informazioni e dati. Di conseguenza, si presentano bisognosi di ordine ed orientamento. Sul piano psicologico si determinano dei cambiamenti. Il bambino, usufruendo dello strumento televisivo, senza una discriminazione adeguata dei programmi, si trova in balia di esso,con conseguenze sul piano relazionale dovute alla passività davanti allo schermo e a una ridotta capacità interagente, propria di un rapporto vivo di socializzazione. Molti sono stati i dibattiti e i contributi,da parte di studiosi, istituzioni governative, chiesa cattolica ecc., riguardo gli effetti negativi e positivi del mezzo televisivo soprattutto in relazione all’uso indiscriminato,a volte inconsapevole, che ne fanno i più piccoli.

CARATTERISTICHE SOCIALI DEL MESSAGGIO TELEVISIVO 
Le caratteristiche di suggestione, di immediatezza e di pervasività del messaggio televisivo probabilmente dipendono sia dalle sue caratteristiche tecniche, flusso continuo di immagini e di suoni,sia dai meccanismi economico-sociali che lo hanno messo in atto. La tv attuale è prevalentemente finanziata con la pubblicità. Per procurarsi un pubblico la tv deve essere accattivante ed emozionante e non deve richiedere un particolare sforzo di attenzione. Per procurarsi e insieme per formare un pubblico adatto alla ricezione dei messaggi pubblicitari,sembra logico pensare che i programmi-contenitore della tv debbano condividere con la pubblicità la propensione al consumo e la fiducia nell’impresa privata moderne, che produce merci industriali di massa. La società attuale può essere definita società dello spettacolo, e in essa ci sarebbe una tendenziale disgregazione delle comunità di discussione popolare a favore della dimensione della folla solitaria e un indebolimento progressivo dell’influenza degli “intellettuali di massa”, la cui autorevolezza è minata dalla onniscienza del mezzo televisivo. La tv cercherebbe invece di produrre una dimensione pseudocomunitaria,” minando” la comunità umana: applausi e risate registrate, trasmissioni in diretta che imitano riunioni comunitarie, addirittura creazioni di comunità artificiali che esistono solo in funzione della tv (come nel caso del Grande Fratello). Inoltre le mode e gli eventi televisivi oggi pervadono lo spazio della chiacchiera privata; la gente parla molto spesso di quanto si dice e si fa in tv: il medium occupa la realtà. E’ stata la pubblicità a spingere l’individuo all’acquisto e a persuaderlo dell’importanza nella sua vita, del possesso di beni, di consumo o di lusso. All’inizio la pubblicità tese prevalentemente a dare maggiori informazioni al consumatore sull’esistenza di un dato prodotto e sulle sue qualità. Con il passare degli anni, gli spot pubblicitari, soprattutto quelli televisivi, mirarono, più che a informare, a persuadere i potenziali acquirenti della necessità di comprare solo quel determinato prodotto. La scelta attenta del contesto, delle situazioni e dei protagonisti della piccola storia narrata costituisce ancora oggi il punto di forza del messaggio pubblicitario. Il consumatore, rapito dalle immagini dello spot, si sente partecipe dell’ambiente e delle situazioni ricreate, descritte o suggerite: acquistando quel determinato prodotto, diventerà protagonista della breve favola narrata sullo schermo. Così il messaggio pubblicitario ha lo scopo esplicito di propagandare un certo particolare prodotto, ma normalmente dovrebbe anche essere coerente con lo scopo generale implicito di ottenere la disponibilità delle masse al consumo. Il messaggio complessivo, il palinsesto, dei media che vivono di pubblicità deve cercare di essere conforme all’idea del consumo di prodotti commerciali ad alta tecnologia come soluzione dei problemi umani essenziali,e all’idea della competizione economica individualistica. Sembra infatti che la fiducia nella potenza della tecnologia e la volontà di esibire di fronte agli altri il consumo di un prodotto di qualità siano fattori che spingono a preferire il prodotto di marca al prodotto anonimo. Il sistema dei media contiene di fatto ampie informazioni sul degrado ambientale causato dallo sviluppo industriale e sulle condizioni disperate di una parte del Sud del mondo del mondo.Data la scarsa considerazione della classe di maggioranza per questi problemi ,ci si può chiedere dunque se il messaggio complessivo della tv (che sembra soprattutto comunicare fiducia nell’alta tecnologia,che produce le merci da reclamizzare) non abbia come risultato la sottovalutazione dei limiti e delle contraddizioni dello sviluppo.

MESSAGGIO-IMMAGINE
Nella società postindustriale, al processo formativo delle giovani generazioni contribuisce sempre più la ricezione televisiva,flusso continuo di immagini accompagnato di solito anche dalla musica, rispetto all’apprendimento scritto. Il flusso del video trascina il telespettatore e spesso coinvolge e subordina a se la parola dell’audio che lo accompagna e che, pur potendo fornire informazioni precise e argomentazioni razionali, spesso si presenta come messaggio suggestivo, come parte del fluire seducente delle immagini. L’apprendimento scritto, ormai garantito a tutti in occidente dall’insegnamento pubblico gratuito fino all’adolescenza, richiede invece al lettore un continuo di analisi e astrazione. La ricezione televisiva, con le sue immagini in movimento, fa lavorare soprattutto l’emisfero destro del cervello,che mette in gioco l’emotività ,l’apprendimento scolastico soprattutto l’emisfero sinistro, che mette in gioco le capacità analitiche e astrattive. Nonostante la relativamente bassa probabilità che hanno di cogliere i messaggi razionali trasmessi attrverso il medium televisivo, i riceventi spesso hanno l’impressione di essere “competenti” su tutto: l’immagine teletrasmessa è evidente, rende presente il mondo, non sembra richiedere alcuna interpretazione. Viceversa in un messaggio l’elemento più ricco di informazione è la parola. E’ la parola che decide quando un’ immagine o un suono registrato hanno un valore informativo o sono semplice fiction. In sostanza, se il medium televisivo e audiovisivo ha una straordinaria capacità di comunicazione emotiva ed estetica,ha molto meno capactà di informazione di quanto le immagini in diretta farebbero pensare. Esso ha straordinarie potenzialità informative per chi già conosce criticamente un argomento, attraverso i vecchi canali dell’apprendimento parlato e scritto, ma può suscitare un’indebita sensazione di onniscienza a chi si accosta ad esso solo per suo tramite. In prospettiva, almeno secondo alcune analisi pessimistiche,c’è il rischio che venga meno progressivamente la dimensione della saggezza (conoscenza dei propri limiti e affidamento parziale al parere dei competenti presenti nella propria comunità locale) e del principio di realtà (capacità di distinguere realtà, rappresentazione e finzione,capacità di fare autonomamenta esperienza e di conservare-tramandare memoria). Invece che alla competenza degli uomini in carne ed ossa ,presenti nel rapporto faccia a faccia,ci si affida alla competenza della tv. La massa dei riceventi , essenzialmente passiva, ha spesso l’impressione di partecipare alla vita sociale, grazie all’accesso ai media, alle trasmissioni e agli spettacoli interattivi. Ha anche l’impressione di essere adeguatamente informata,grazie alle notizie-immagine in tempo reale,e competente,grazie alla banalizzazione del messaggio o alla sua sostituzione con lo pseudomessaggio-immagine:al posto del dato statistico o della descrizione rigorosa delle circostanze, ci si accontenta spesso della zoomata su un dettaglio emotivamente stimolante, che ci dà l’impressione di “essere proprio lì”. Essi spesso hanno la sensazione di poter capire i massimi problemi della politica perché i loro rappresentanti si rivolgono direttamente a loro in tv con un linguaggio accessibile(di solito, proprio per questo, semplificando sostanzialmente i problemi). Tendono così a non rendersi conto di aver bisogno di ulteriori informazioni scirtte,o del confronto faccia a faccia con semi-competenti e competenti, per valutare criticamente il messaggio dei politici.

“La tv non ci rende né più stupidi, né più intelligenti. Però condiziona pesantemente la nostra vita” (Francesco Morace). Sempre più spesso si sente parlare degli "effetti della TV". A volte viene criticata per le presunte conseguenze negative che ha sul pubblico, altre volta viene quasi mitizzata. C’è chi non ne potrebbe fare a meno e chi non possiede nemmeno un televisore. In ogni caso la televisione è un fenomeno di estensione quasi globale, che interessa un’amplissima fascia di età e che condiziona, in un modo o nell’altro, la vita di tutti noi. Almeno il 50% dei comportamenti quotidiani della gente è guidato dai programmi televisivi. E’ un tipo di persuasione che funziona in modo indiretto, e varia da persona a persona: ogni spettatore assimila un messaggio televisivo mescolandolo alla propria cultura e al proprio carattere.Un fattore comune però rimane: i telespettatori oggi usano le trasmissioni per esibirsi, incontrarsi o semplicemente per fare pettegolezzi, trasformando il video in una gigantesca festa paesana. Sono cioè diventati protagonisti. E’ la cosiddetta personalizzazione della tv, un fenomeno tipico di questi ultimi anni: gli spettatori hanno cominciato a considerare il piccolo schermo, e quello che vi accade, come un prolungamento della propria casa. “In effetti avere un rapporto di tipo personale con la televisione è positivo, perché aiuta l’individuo a non sentirsi massa. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: se il rapporto emotivo con i personaggi della tv diventa troppo stretto c’è il rischio di considerarli più vicini di chi abita nella casa accanto, deformando la percezione della realtà”, spiega Francesco Cassetti, docente di teoria e tecnica del cinema all’Università Cattolica di Milano. “Un’altra caratteristica negativa è il flusso ininterrotto di immagini, suoni e informazioni che, entrando in casa a tutte le ore, può dare la sensazione di vivere in stanze con le pareti di vetro, provocando ansia”. Al protagonismo del pubblico la tv risponde dando emozioni sempre più forti. Ecco perché le conduttrici si lanciano nel vuoto e gli illusionisti si fanno chiudere in bare o fingono di tentare il suicidio. E funziona: gli italiani rimangono incollati al video circa tre ore al giorno (contro una media di un’ora e quaranta minuti in Svezia e Finlandia). Secondo un rapporto dell’ONU, nel nostro Paese su mille abitanti ci sono ben 424 apparecchi televisivi, quasi tutti sintonizzati sulle sei reti nazionali.

POTERE DELLA TV
Il potere della tv dipende soprattutto dall’effetto realtà creato dalle telecamere: lo spettatore ha la sensazione che gli avvenimenti si svolgano sotto i suoi occhi. La realtà viene semplificata al massimo per poter essere colta da tutti. E’ per questo che alcuni studiosi accusano al televisione di danneggiare la capacità di percepire la realtà, ormai ridotta ad una serie di stereotipi e di personaggi estremamente semplici e privi di sfumatura, da imitare. Quello dei modelli è un pericolo generalizzato. La tv contemporanea non ha perso la vocazione pedagogica degli anni Cinquanta, l’ha semplicemente mascherata. Oggi “ammaestra” il suo pubblico in modo indiretto proponendo, attraverso conduttori e protagonisti, esempi di comportamento che si trasformano inevitabilmente in modelli sociali. La semplificazione della realtà data dalla televisione dà sicurezza e fornisce punti di riferimento cui aggrapparsi, tant’è che sono moltissime le persone che per farsi un’opinione guardano la tv. “Da qualche anno questo discorso vale anche per la politica. Per questo si discute tanto della influenza della tv sulle elezioni. L’influsso non può essere negato, ma dipende dal modo di fare televisione: non basta dare a tutti i partiti lo stesso tempo, per avere la cosiddetta par condicio. I 10 minuti di un leader che sa usare il video possono valere più delle 2 ore di un altro politico che non ha imparato a servirsene. Naturalmente lo spettatore non si accorge fino in fondo di cosa ha influenzato il suo voto”, aggiunge Morace. Il telespettatore però si difende meglio di quanto si credesse. Per esempio, adatta il proprio ascolto ai contenuti del programma. C’è perfino un ascolto di tipo strumentale, usato soprattutto per stare insieme. Alcune trasmissioni vengono guardate solo per essere commentate in negativo. Questo rafforza la coesione familiare, fornendo argomenti di discussione. Non solo i legami tra gli individui fanno da filtro alla televisione, ma è proprio in questo fare filtro che le famiglie si riconoscono come tali. Il filtro, in condizioni normali, funziona così bene da rendere inefficaci anche eventuali contenuti violenti delle trasmissioni. Da noi comunque il pubblico è ancora considerato un numero (il dato Auditel). Tant’è vero che anche la Rai punta soprattutto sugli spettacoli per far crescere gli indici di ascolto. Non importa poi se, come dimostrano gli studi, si tratta di un pubblico distratto, che passa la maggior parte del suo tempo a parlare dell’abbigliamento dei presentatori. I pubblicitari che finanziano l’Auditel, almeno per ora, non si interessano del grado di attenzione di chi guarda. La regola aurea della Tv commerciale è la seguente: "non dare al telespettatore nulla di più di quanto già non abbia nel suo bagaglio culturale; non dirgli nulla di più di quanto non sappia già. Tutto il resto è... letteratura" (cioè perdita secca di milioni di telespettatori). Questo è il motivo strutturale che impone alle televisioni commerciali di selezionare i programmi sulla base della loro "digeribilità". Devono comporsi di sostanze semplici, facilmente metabolizzabili che puntino su emozioni elementari, luoghi comuni, mode e cliché della banalità quotidiana: soap opera sdolcinate, talk show che sono fiere dell'ovvietà, spettacoli di varietà che fanno rimpiangere l'avanspettacolo.Da questo punto di vista, non vi può essere alcun limite legislativo che argini questo fenomeno di progressivo inebetimento dei telespettatori cui viene imposta una regressione all'infanzia, con l'obbligo di restarci. La qualità coincide con la quantità, cioè la merce migliore è, tout court, quella più venduta. Avendo le televisioni commerciali come obiettivo strategico fondamentale il conseguimento del più alto indice d'ascolto, è inevitabile che la qualità e il valore dei contenuti siano penalizzati. Quindi, la qualità scadente dei programmi televisivi non è imputabile agli autori, ma piuttosto alla finalità dell'emittente.

Quindi, più che trasmettere programmi di cultura (arte, letteratura, musica ecc.) in prima serata, bisogna mettere più cultura nei programmi, soprattutto in quelli di grande ascolto. Il che vuol dire: più intelligenza, buon gusto, ironia e soprattutto una rappresentazione fedele - e non puramente spettacolare - della realtà sociale e delle sue dinamiche. Questa rivendicazione è essenziale, strategica ed è l'unica che può realmente consentire un ribaltamento di posizione simile a quello che si è verificato con i telegiornali. In questo senso la televisione dev'essere considerata, piuttosto che un mezzo istruttivo, che si sostituisce ad altri media e ad altre istituzioni, un mezzo integrativo, propedeutico, introduttivo alla conoscenza delle arti e delle diverse discipline. In primo luogo, sarebbe opportuno rovesciare la tesi secondo la quale bisogna rendere più appetibili e comprensibili i programmi culturali (spesso questo vuol dire soltanto renderli banali e di cattivo gusto) e affermare, piuttosto, che i programmi ordinari della Tv, quale che sia il loro "genere" dovrebbero diventare più culturali - cioè più intelligenti, arguti e stimolanti, in altre parole, più "educativi”. Non bisogna insomma aggiungere quelle spezie di cui parlava Popper,cioè violenza, sesso e sensazionalismo per rendere appetibili i programmi televisivi,poiché il fatto è che più si impiega questo genere di spezie piu si educa la gente a richiederne.E dal momento che questo tipo di intervento è il più facile a capirsi da parte dei produttori e quello che produce una più facile reazione da parte dell’audience ,si determina una situazione per cui si smette di pensare a interventi più difficili.

CONCLUSIONI
Volevo concludere il discorso riallacciandomi al discorso di Condry, tirando in causa un importante sociologo dei mass media Neil Postman. Egli sosteneva che l’ infanzia sta scomparendo,ormai i bambini diventano subito  grazie alla televisione arrivano a conoscere tutto troppo in fretta. Fino a oggi la crescita avveniva attraverso la progressiva scoperta dei "segreti della vita", che gli adulti rivelavano gradualmente in forme ritenute appropriate a una corretta psicologia infantile. Ora questo non è più possibile: tutti, anche i bambini, conoscono subito tutto. Alle nuove tecnologie, perchè possano contribuire a un'educazione formativa, bisogna accostarsi in modo critico. La soluzione deve trovarsi in come guardiamo la televisione. La risposta da disperati è di collegarsi all'unico mezzo di comunicazione di massa capace, in teoria, di affrontare il problema: la scuola. Nel nostro come negli altri Paesi, gli insegnanti si dimostrano sempre più sensibili ai mass media e consapevoli degli effetti che la tv esercita in particolare sui giovani.

"Nessun mezzo - scrive ancora Postman - è pericoloso se gli utenti ne conoscono i pericoli". E questo può valere, naturalmente, anche per il computer e per Internet. Bisogna affidarsi allora alla funzione educatrice della scuola, nella speranza che la televisione non cancelli del tutto la cultura, la voglia di pensare, di discutere e di dialogare. Ma rimettiamoci anche all'interattività della Rete che, almeno da questo punto di vista, è certamente superiore perché stimola la partecipazione e il confronto. Suggerisce infine di introdurre nell'insegnamento il concetto di educazione "alla tecnologia" prima di quello di un'educazione "con la tecnologia".


TESTO INTEGRALE

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mercoledì 8 maggio 2013

I Media Troppo Veloci per il Cervello Morale

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Le emozioni legate al senso morale sono elaborate lentamente dal cervello: lo dimostra una ricerca condotta da Antonio Damasio sulle emozioni complesse come l'ammirazione e la compassione.

Le emozioni legate al senso morale sono elaborate lentamente dal cervello: è questo il risultato di una ricerca condotta da Antonio Damasio e collaboratori presso il Brain and Creativity Institute della University of Southern California. Lo studio - che è uno dei primi che passa dall'esame di emozioni primarie come il dolore e la paura a quello di emozioni complesse come l'ammirazione e la compassione - ha significative ricadute sulla comprensione della percezione umana degli eventi e sul modo in cui ci si dovrebbe rapportare all'informazione in un mondo dominato dalla comunicazione digitale e televisiva. "Noi separiamo il bene dal male in gran parte proprio grazie al sentimento di ammirazione. E' una reazione fisiologica profonda molto importante nella definizione della nostra umanità." E, secondo i risultati dello studio, è profondamente radicata nel cervello e nella sensibilità del corpo, coinvolgendo sistemi neuronali primari che regolano il chimismo ematico, il sistema digerente e altre strutture.

"Per alcuni tipi di pensiero, e particolarmente per il processo decisionale morale su situazioni psico-sociali che riguardano altri, abbiamo bisogno di un certo tempo e di riflessione", osserva Mary Helen Immordino-Yang, prima firmataria dell'articolo pubblicato sull'ultimo numero dei sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) in cui si illustrano i risultati. L'essere umano è in grado di classificare l'informazione molto rapidamente e può rispondere a segnali fisici di dolore negli altri nell'arco di frazioni di secondo. Tuttavia, ha scoperto il gruppo di lavoro diretto da Antonio Damasio, l'elaborazione di emozioni sociali complesse come l'ammirazione o la compassione richiede un tempo superiore.

Nel corso di sedute sperimentali i ricercatori hanno monitorato con tecniche di brain imaging l'attività cerebrale di un gruppo di volontari mentre ascoltavano il resoconto di storie di vita vera tali da suscitare ammirazione per un comportamento virtuoso o per un'abilità, e rispettivamente di compassione per uno stato di sofferenza psico-sociale oppure di dolore fisico. Le immagini cerebrali ottenute dai ricercatori hanno mostrato che per una risposta cerebrale completa a storie che illustravano situazioni di sofferenza sociale o di azioni encomiabili erano necessari dai sei agli otto secondi ma, per contro, una volta divenuta cosciente la risposta permaneva più a lungo rispetto a quella suscitata dal confronto con un dolore fisico. Lo studio solleva la questione del costo emotivo, soprattutto per un cervello in via di sviluppo, dell'affidarsi al flusso molto rapido di notizie frammentate proposte da televisione, videogiochi, internet e social network.

Riferendosi ai media, Immordino-Yang puntualizza che "il problema non è quello dei mezzi di cui si dispone, ma dell'uso che se ne fa. In una cultura mediatica in cui la violenza e la sofferenza diventano uno show senza fine, che si tratti di fiction o di 'infotainment', gradualmente si instaura una indifferenza verso la sofferenza umana". "Ciò che più mi preoccupa è ciò che avviene con la brusca giustapposizione che si trova, per esempio, nelle notizie", aggiunge Damasio. "Quando si ha a che fare con le emozioni, dato che questi sistemi sono intrinsecamente lenti, quello che possiamo dire è: non così veloci."

FONTE: LE SCIENZE

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martedì 7 maggio 2013

I Lacci Emotivi dei Media

DI MARCO CANESTRARI



Qual'è il linguaggio migliore da usare per raggiungere tale obiettivo? Di sicuro un linguaggio quanto più colorito, passionale e caricato, che incentivi le divisioni e le reazioni emotive e che mostri con chiarezza l'opinione favorevole o sfavorevole del leader riguardo agli argomenti trattati, in modo tale da ottenere nell'immediato un legame emotivo che porti alla manifestazione di consenso o dissenso.

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domenica 5 maggio 2013

La Fisica Sostiene che Il Tempo Non Esiste

DI ADAM FRANK

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I ‘ribelli’ che si oppongono alla teoria del Big Bang hanno come obbiettivo quello di affrontare il concetto di tempo; sono filosofi tanto quanto cosmologi, insoddisfatti dalla teoria del Big Bang, indifferenti alla teoria delle stringhe e non convinti dal multiverso. Julian Barbour, fisico britannico, autore e maggior esponente dell’idea della fisica senza tempo, è uno di questi ribelli – ed è così profondamente convinto della sua ipotesi da aver ripudiato l’intero mondo accademico. La soluzione di Julian Barbour al problema del tempo applicato alla fisica e alla cosmologia è tanto chiaro quanto radicale: afferma, infatti, che il tempo, semplicemente, non esiste.

‘Se provate a tenere il tempo in una mano, vi scivolerà sempre tra le dita’, afferma Barbour. ‘Le persone sono convinte che il tempo sia lì, ma non lo si può afferrare e penso che non sia possibile trattenerlo semplicemente perché non c’è.’ Barbour parla con un disarmante fascino inglese, rivelando una ferrea risolutezza ed una profonda fiducia nella propria teoria; la sua prospettiva estrema deriva da anni ed anni di studi approfonditi sia nel campo della fisica classica che quantistica. Isaac Newton pensava al tempo come ad un fiume che scorre ovunque con la stessa portata; Einstein cambiò questa visione unificando spazio e tempo in un'unica entità in quattro dimensioni, ma anch’egli fallì nel tentativo di contrastare la visione del tempo come unità di misura delle trasformazioni del mondo che ci circonda. Secondo quanto dichiarato da Barbour la questione deve essere affrontata da una prospettiva completamente diversa; è, cioè, necessario pensare che siano i cambiamenti a creare l’illusione dello scorrere del tempo e non viceversa. Rievocando il fantasma di Parmenide, Barbour percepisce ogni singolo attimo nel suo insieme, come entità a se stante, reale e completa. Chiama questi momenti gli ‘Adesso’.

‘Mentre viviamo ci muoviamo in una successione di Adesso’, afferma Barbour,’e la domanda da porsi è: cosa sono queste entità?’ Secondo lo studioso ogni Adesso è una combinazione di tutti gli elementi dell’Universo. ‘Abbiamo la forte impressione che ogni cosa abbia una posizione definita in relazione con qualcos'altro e il mio scopo è quello di riuscire a prescindere da tutto ciò che non possiamo vedere (direttamente o indirettamente) e accettare semplicemente l’idea che esistano molte situazioni coesistenti nello stesso momento. Ci sono semplicemente gli Adesso, niente di più e niente di meno.’

Questi Adesso si possono immaginare come pagine di un libro, strappate dalla copertina e gettate alla rinfusa sul pavimento; in questo caso ogni foglio è di fatto un entità a se stante che esiste separatamente dal tempo. Ponendo poi le pagine in un ordine specifico, e osservandole nella loro progressione, si avrà una narrazione lineare; ma non ha importanza quanto accuratamente vengano riordinate, perché ognuna si manterrà comunque completa e indipendente. Come afferma Barbour, ‘Il gatto che salta non è lo stesso gatto che atterra.’ La fisica della realtà è, secondo lo scienziato, lo studio di questi Adesso, considerati nel loro insieme. Non esiste un momento passato che scorre verso uno futuro, ma, al contrario, tutte le possibili configurazioni dell’Universo, ogni possibile ubicazione di ogni singolo atomo nell’intero creato, esistono simultaneamente. Gli ‘Adesso’ di Barbour si trovano tutti in un vasto reame platonico assolutamente e completamente privo di tempo.

‘Ciò che davvero mi intriga,’ dice Barbour, ‘è il fatto che la totalità di tutti gli Adesso possibili possiede una struttura molto particolare. Si può prendere come esempio il paesaggio di uno stato. Ogni punto di questo territorio è un Adesso; io chiamo questa terra Platonia, in quanto è senza tempo ed è stata creata seguendo regole matematiche.’ Il problema del ‘prima’ del Big Bang non si pone per Barbour, in quanto la sua cosmologia non ha tempo. Tutto esiste in uno scenario di configurazioni, il paesaggio degli Adesso. ‘Platonia è la reale arena dell’Universo,’ dichiara ‘e la sua struttura influenza tutto ciò che è legato alla fisica, classica o quantistica, ed ha un ruolo al suo interno.’ Secondo Barbour, il Big Bang non è un’esplosione avvenuta in un passato remoto, ma solamente un posto particolare all’interno di Platonia, il suo territorio occupato da Adesso indipendenti.

A proposito del tempo: L’illusione del passato emerge perché ogni Adesso in Platonia contiene elementi che appaiono come ‘ricordi’, per esprimersi nel linguaggio di Barbour. ‘L’unica prova che si ha dell’esistenza della scorsa settimana sono i ricordi ad essa legati. Ma la memoria deriva da una struttura stabile di neuroni che agisce nella mente in questo istante. Le uniche prove certe che abbiamo del passato della Terra sono le rocce e i fossili, che però sono strutture solide formate da composizioni di minerali che noi esaminiamo nel presente. Voglio dire che tutto ciò che abbiamo sono questi ricordi e si possono avere solo in questo Adesso.’ La teoria di Barbour spiega l’esistenza di queste memorie attraverso relazioni tra gli Adesso all’interno di Platonia; alcune di queste entità sono legate ad altre nel paesaggio anche se non esistono simultaneamente. Questi collegamenti danno l’apparenza di ricordi allineati in una sequenza che va dal passato al futuro, ma, nonostante questa apparenza, l’attuale corso del tempo da un Adesso verso un altro non esiste. ‘Pensate ai numeri interi,’ spiega, ‘ogni numero intero esiste simultaneamente, ma alcuni sono legati in strutture, come le serie di numeri primi o quelli della serie di Fibonacci.’ Il numero 3 non era in passato il numero 5, così come l’Adesso del gatto che salta dal tavolo non appartiene al passato rispetto all’Adesso del gatto che atterra sul pavimento. Passato e futuro, inizio e fine, sono semplicemente scomparsi all’interno della fisica di Barbour e non si facciano errori, in quanto egli sta effettivamente esponendo teorie fisiche. ‘So che l’idea è sconvolgente,’ dice, ‘ma possiamo usarla per fare previsioni e descrivere il mondo.’ Con il suo collaboratore ha pubblicato una serie di saggi che dimostrano come la relatività e la meccanica quantistica emergono naturalmente dalla fisica di Platonia. La perfetta disposizione senza tempo degli Adesso nello scenario di Platonia è la più radicale delle soluzioni all’enigma del Prima, ma la sua audacia rivela una strada alternativa rispetto a quella seguita dalla storia della scienza. In un’epoca in cui la ricerca della gravità quantistica ha moltiplicato le dimensioni e la scoperta dell’energia oscura ha costretto i cosmologi alle loro lavagne, tutti i fondamentali sembrano a portata di mano.

Barbour vuole fare un passo indietro e offrire la risposta ‘senza tempo’ ad una domanda basilare: ‘Che cos’è il tempo?

Questo è un estratto dal libro di Adam Frank About Time: Cosmology and Culture at the Twilight of the Big Bang, disponibile in versione cartacea, tratto dal capitolo intitolato “The End of Begininnings and the End of Time”, che tratta delle alternative radicali al Big Bang.

TRADOTTO PER ECV DA FABRIZIA BELTRAMONE

FONTE
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giovedì 2 maggio 2013

Fai Carriera e Verrai Ricompensato

DI AARON JACKON
Workaholic

I concetti di consumismo e carrierismo sono già ben radicati nei paesi occidentali, e si stanno diffondendo in paesi meno industrializzati. Ma perché?

Definiamo carrierismo o carrierista come “la caratteristica associata a colui che avanza nella propria carriera anche a costo del proprio orgoglio e dignità”. Dando una semplice occhiata a questa definizione, molti diranno “ma non ha niente a che fare con la mia di carriera”. Sin da piccoli veniamo cresciuti dai nostri genitori o da chi per loro attraverso la combinazione di due metodi educativi. Secondo il primo sistema di educazione, basato sulla ricompensa, il bambino viene premiato per essersi comportato bene e, ancora più importante, come gli è stato chiesto. Il secondo sistema - l’altra faccia della stessa medaglia – è basato sulla punizione, per cui si viene puniti per esserci comportati male. In generale, i genitori fanno il loro meglio per trasmettere i migliori principi morali ed etici possibili che sono loro stessi capaci di concepire. Ciò nonostante, i genitori comandano ai figli di ubbidire agli insegnanti. Il bambino va così a scuola e riceve un’educazione molto sistematica, rigida e standardizzata, senza troppo spazio per la creatività, la flessibilità, il gioco, la libertà e, per di più, senza la guida dei genitori. Questi ultimi, come anche gli insegnanti, danno per scontato che i programmi educativi del governo hanno a cuore il futuro e gli interessi dei nostri figli.

Nel sistema americano si passa dalle scuole elementari alle medie a 11-12 anni, per poi andare alle superiori a 14-15 anni. In Gran Bretagna si va alle medie dai 10-12 anni fino ai 15-16. Ma perché dover cambiare scuola e perché tra i 10 e i 12 anni? Durante la pubertà - questo periodo di ricerca della nostra strada da seguire in cui si mette in dubbio e ci si ribella alle figure di autorità come i genitori - riceviamo dalle nuove scuole delle risposte alternative. Molti di questi cambi apportati dalle scuole sono dettati da ideologie carrieristiche. A questa età ci insegnano che dobbiamo ottenere dei buoni voti per trovare un lavoro, poiché il lavoro è sinonimo di successo: più alti i voti migliore la carriera e lo stipendio, no? Negli USA questo sistema è ancora più rigido, poiché gli studenti devono persino superare un esame per essere ammessi alla scuola successiva. Una maniera per integrarsi in buon anticipo in un sistema carrieristico basato sulla promozione, oltre ad essere privo di una seconda scelta. Chiunque non segua queste regole viene infatti bocciato e quindi ridicolizzato, proprio come viene deriso nella società chi ha un basso stipendio o è senza lavoro. I poveri o i disoccupati, dunque, sono considerati da molti benestanti, dai media e dal governo come persone senza valore e senza merito nella società, poiché non si sono sforzati abbastanza. Persino se queste persone lavorano per beneficenza o volontariato, sono comunque viste come una specie di rifiuto hippy. C’è poi da sottolineare che le tasse statali e i tassi d’interesse bancari sono due ulteriori metodi per ottenere qualcosa senza alcuno sforzo. Per anni i nostri genitori ci insegnano importanti regole morali ed etiche, cos’è bene e cos’è male. Poi tocca alle scuole insegnarci che ancor più lavoro e obbedienza è bene, mentre tutto il resto è male.

Appena finiamo la scuola abbiamo già imparato che il lavoro è bene e che il denaro ha preso il posto della ricompensa nel sistema educativo impartitoci dai genitori. Non esiste più un sistema basato sulla ricompensa per fare del bene, ma solo un sistema di ricompensa del lavoro finalizzato all’arricchimento basato sull’obbedienza: numeri stampati su della carta o sullo schermo di un computer. Ecco dove si fondano i nostri principi morali oggigiorno.


TRADOTTO PER ECV DA ALESSANDRO MAMMOLITI

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