giovedì 21 febbraio 2013

La Rivoluzione Politica Nascerà dal Web

DI MICHELE AINIS

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Ci avete fatto caso? Da un giorno all'altro la politica è sparita dalla scena. La discussione è tutta sui politici: quanto siano onesti, come possiamo dimezzarne il numero, e perché poi guadagnano come Paperone, perché i più giovani restano sempre fuori dalla porta. Loro, i vecchi, reagiscono con l'istinto del camaleonte, promettendo tagli, e ovviamente primarie a tutto spiano. Sui contenuti, sui programmi, nemmeno una parola; o altrimenti parole vuote, logore come un vestito troppo usato. Ma invece è questa la novità che si staglia all'orizzonte: nei prossimi anni il programma di governo lo scriveranno i cittadini. Su un'agenda elettronica, anziché su un foglio di quaderno. E vincerà chi saprà utilizzare al meglio la potenza della Rete.

Il successo elettorale del MoVimento 5 Stelle è tutto in questi termini. Non solo facce fresche: soprattutto un link aperto sulle istanze delle comunità locali, fino ad annullare la separazione fra società politica e società civile. Si chiama democrazia digitale, definizione coniata fin dagli anni Ottanta. Ma negli ultimi tempi le esperienze si moltiplicano, insieme ai suoi protagonisti. Per esempio "Se non ora quando?", la manifestazione delle donne convocata con un tam tam su Internet, che il 13 febbraio 2011 ha riempito le piazze con un milione di persone. E all'estero, la primavera araba. Il movimento Occupy Wall Street. Gli Indignados in Spagna. La rete dei dissidenti in Russia. La campagna elettorale di Obama, che dal Web attinge a piene mani. O i Piraten in Germania: a maggio hanno toccato l'8 per cento alle elezioni, con un manifesto che propone di attivare il sistema politico in open source. I nostri leader politici si tengono alla larga dai fermenti della Rete. Pensano che basti esporre la fronte corrucciata del Gran Capo sul sito del partito. O magari credono d'essere à la page postando una fotografia su Twitter, come ha fatto Casini durante il vertice di marzo con Monti, Alfano e Bersani. Probabilmente nessuno gli ha spiegato che i primi esperimenti di democrazia digitale si consumarono a Santa Monica nel lontano 1989. Che nel '94, ad Amsterdam, è nata la prima città digitale, con una rete civica consultata 130 mila volte in occasione delle amministrative. Che da allora in poi le applicazioni sono state innumerevoli, come d'altronde le esperienze di democrazia diretta, figlia legittima di quella digitale: le consensus conference, i town meeting del New England, le assemblee pubbliche che governano l'85 per cento delle municipalità svizzere, il Dialogo con la Città di Perth (Australia), le giurie civiche a Berlino. Non sanno che il voto elettronico si va diffondendo in tutto il mondo, come ha documentato "l'Espresso" la scorsa settimana: in Estonia, per esempio, un cittadino su quattro vota su Internet. Infine non conoscono strumenti come il voto cumulativo, in uso nella municipalità di Amburgo, e rilanciato per l'appunto dai Piraten: un sistema elettorale in cui ciascuno ha una pluralità di voti che può concentrare su un unico cognome oppure distribuire fra vari candidati. Scegliendo, insieme al partito, l'alleanza di governo.

Ma l'arma totale della nuova democrazia che avanza in Rete è il referendum: rapido, continuo, senza formalità procedurali né limiti d'oggetto. Se n'è accorto perfino un governo algido come quello in carica, con la consultazione on line sul valore legale della laurea o con l'impegno a sottoporre ai cittadini i nuovi progetti d'infrastrutture nazionali, dopo gli scontri in Val di Susa sulla Tav. Il modello è la legge Barnier, vigente in Francia dal 1995. Tuttavia i modelli in circolo sono almeno tre: la teledemocrazia, caldeggiata già da Clinton; le comunità virtuali, che s'aggregano in Rete; la democrazia elettronica deliberativa, dove ogni decisione è preceduta da un'ampia discussione. Hanno in comune l'ambizione di sfatare la celebre sentenza di Rousseau: lui diceva che ogni elettore è libero durante le elezioni e per il resto della vita torna schiavo. E in conclusione negano il ruolo dei partiti, o meglio li trasformano in luoghi di raccolta delle proposte soggette a referendum. Un terremoto.


FONTE: L’ESPRESSO

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domenica 17 febbraio 2013

I Miti dei Giovani

TEMA SVOLTO DI SIMONE SPECCHIO 1D

INCHIESTA VIP: CORONA IN TRIBUNALE MILANO, ATTESA SENTENZA

Traccia
Ogni generazione di giovani si identifica in personaggi e simboli che ne rappresentano le idealità e le caratteristiche. Quali sono oggi tuoi miti, che importanza hanno, che cosa rappresentano, che cosa dicono alla tua coscienza

Svolgimento
Al giorno d’oggi molti adolescenti, ma anche ragazzini si identificano in attrici e attori dello spettacolo, calciatori, vip e molte altre persone cosiddette famose; si ritrovano in loro, cercano di imitarli magari rendendosi ridicoli ma fregandosene di come appaiono realmente e non rendendosi conto di come sono veramente riducendosi magari a fare quelle cose negative che anche il loro idolo fa. Altri invece si innamorano dell’attore o dell’attrice, del cantante o della cantante, del calciatore o di una donna della tv, attaccando i loro poster nelle loro camerette per riguardarli in ogni momento e ripensare a loro.

Questi miti a volte sono esempi positivi per i ragazzi di questi tempi, in altre circostanze possono anche essere negativi portando questi a gesti impensabili. Molti ragazzi non hanno un proprio mito o idolo come lo si vuole chiamare, ma seguono un loro stile di vita il cosiddetto LifeStyle (in Inglese); ci sono molti tipi diversi di LifeStyle, ci sono i Punk, Gli Skater, I Metal, Gli Emo, I Rapper, I Drogati, Gli Alcolisti e infine i San Carlini (Vestiti da capo a piedi di vestiti firmati). Questi stili di vita portano a fare cose diverse, stare con una persona magari dello stesso LifeStyle, a stare in luoghi diversi. Io personalmente non ho un idolo da imitare, non sono una fotocopia di un personaggio dello spettacolo, non imito i loro gesti o usi e costumi, sono semplicemente me stesso; sicuramente anche a me come penso tutti i ragazzi della mia età piacciono le bellissime donne della tv come anche piacciono a tutti gli uomini, ma anche se ci piacciono non ci vestiamo come loro, non ci comportiamo come loro e non vogliamo apparire come loro come fanno certe ragazze del giorno d’oggi.

FONTE: ATUTTASCUOLA

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giovedì 14 febbraio 2013

La TV Dice la Verità?

DI ROLANDO TAVOLIERI

pinocchio

In tanti anni di televisione, di programmi seguiti, di talk show, di approfondimenti ed altro, possiamo notare come tutto ciò che viene detto, commentato e scandito dai programmi televisivi viene accettato per vero, viene recepito come reale, senza però accertarci se questa o quella notizia sia vera. 

Da tanti anni, ciò che ascoltiamo in televisione attraverso vari programmi televisivi, nei talk show, nei programmi di intrattenimento, nei telegiornali, nei programmi di informazione o di approfondimento, tutte le informazioni che ci vengono date, tutto ciò che viene detto o riferito, i dibattiti che ne seguono e le interpretazioni di ciò che accade da parte di presentatori, giornalisti, politici, persone coinvolte ed altri, viene accettato in modo passivo come reale, come vero.

Ad esempio ti è mai capitato di sentire diverse persone affermare:

- “questa cosa è vera, l’hanno detta in tv!”
- “dobbiamo comprare quel farmaco,l’ha detto un medico in tv”
- “dobbiamo mangiare quel cibo, l’ho sentito dire in quel programma”
- “domani piove, l’ho ascoltato in tv!”
- “hai seguito il caso di quell’omicidio? Sicuramente è stata la tal persona, perché l’hanno detto in televisione”

Potrei andare avanti facendo centinaia di altri esempi in cui puoi constatare come la televisione è diventata erronemente la detentrice della verità, questo fenomeno di percepire le notizie e le interpretazioni che vengono fatte come reali, spesso è un fenomeno inconscio, ad esempio quando un personaggio famoso, politico, sportivo o del mondo del cinema viene “indagato”, la prima impressione che possiamo avere è che sia “colpevole”, in pratica scambiamo le indagini in corso fatte su una persona per sapere se è realmente colpevole o se è innocente, per colpevolezza prima ancora che le indagini vengano fatte o approfondite. Certo lo facciamo inconsciamente, inconsapevolmente, ma una volta che questo processo viene innescato, è difficile controllarlo, perché il messaggio che viene assorbito dalla mente inconscia è quello in cui crederemo dopo, quindi se il messaggio che la parola “indagato” equivale per noi a “colpevole”, quel messaggio sarà per noi la realtà, quindi il “Messaggio” che la parola usata in tv o la notizia data ha per noi diventa la nostra verità e la nostra realtà. La cosa importante che possiamo fare è quella di “Prenderne Coscienza, cioè di prenderne atto a livello cosciente e riflettere bene su cosa stiamo pensando, perché una cosa è avere un’impressione su una persona e un’altra è essere certi della sua innocenza o della sua colpevolezza, la differenza la può fare il fatto di informarsi a 360 gradi, verificare tramite altre persone, tramite il web, seguire da vicino le indagini, avere più notizie ed informazioni e verificarle tutte, solo dopo tante verifiche, le informazioni ricevute e la capacità di “discernere” (separare) le informazioni vere da quelle false, solo allora possiamo pian piano affermare con attenzione e sempre con un margine di potenziale errore se quella notizia è vera o falsa o se quella persona è innocente o colpevole. Il fatto che molte persone credano immediatamente a questa o a quella notizia, il fatto di dare subito un’interpretazione o di giudicare quella situazione di cui si parla, o addirittura di criticare o giudicare immediatamente quella persona di cui si parla senza approfondire o verificare se quelle notizie su di lui sono reali, dipende da vari fattori, vediamo assieme quali sono:

- Intanto i programmi televisivi vengono seguiti da milioni di persone, sia nel nostro paese che in altri stati, grazie alle potenzialità tecnologiche come il decoder, internet, ed altro ancora, e tutto ciò che viene visto, ascoltato e seguito da tantissime persone, è come se ci “unisse” un poco, è come se vedendo gli stessi programmi ed ascoltando gli stessi discorsi o dialoghi di approfondimento in tempo reale, tutti noi telespettatori avessimo qualcosa in comune, qualcosa che ci unisce , come una condivisione mediatica del mondo.


- La notizia data in tv viene spesso amplificata in quanto qualcosa che è vista e sentita da milioni di persone assume in un certo qual modo un potere forte, in positivo o in negativo, dipende dalla connotazione che le viene data, mettere l’accento su questa o su quella notizia le conferisce potere ed anche per questo viene amplificata. Ecco perché il fatto di parlare tanto e per tanto tempo di qualcuno, gli porta potere se se ne parla bene o può infangarlo se se ne parla male.

- La tv ha il potere di “dirigere” l’attenzione del telespettatore passivo, verso questo o quel fatto, verso questo o quel personaggio, ed ovviamente dirigendo l’attenzione verso una situazione, la distoglie da un’altra notizia che magari è più importante o che non si vuole approfondire in quel momento per vari motivi. In questo modo la tv può monopolizzare l’attenzione delle persone a piacimento, e questo è un grande potere, che però noi possiamo imparare a gestire e controllare attraverso un po di riflessione e di analisi.

- Anche la Ripetitivitàdi una notizia le conferisce potere, perché più una notizia viene ripetuta e approfondita e più se ne parla, più questo circolo vizioso tende ad aumentare e ad amplificarsi. Ecco perché una notizia di cronaca nera sembra non finire mai, viene data e ripetuta anche per anni, addirittura si sono inventate trasmissioni apposite per approfondirne ancora di più i contenuti come se i tg non bastassero, questo perché l’audience aumenta gli introiti, è le notizie sono dunque legate anche ai soldi che si possono ricavare da esse.

- Il fatto di ascoltare una notizia ci mette nella posizione di assumere il ruolo di “critico” o di “giudice”, e quindi di sentenziare, di accusare o di dare clemenza al personaggio di turno, in questo modo possiamo “liberarci” inconsciamente delle nostre azioni sbagliate, delle nostre “colpevolezze”, del fango che c’è dentro di noi proiettandolo sugli altri, in questo caso sui soggetti protagonisti di questa o quella situazione del momento. Infatti scagliare accuse su una persona è come se ci liberasse o ci distogliesse dalle accuse che dovremo a volte dirigere su noi stessi, anche questo fenomeno è inconscio (ma forse non sempre). Come puoi notare le implicazioni su ciò che accade a livello psicologico e sociale quando diventiamo spettatori spesso “passivi” di una notizia raccontata in tv, sono implicazioni “sottili” ma potentissime ed a volte “inconsce”, di cui cioè non ci rendiamo conto a livello cosciente, ma che seguono una direzione ben precisa e raggiungono l’obiettivo.


- Intanto diventa giorno dopo giorno uno spettatore “Attivo”, come? Avendo la mente aperta, evitando cioè di credere ciecamente ad una notizia senza averla prima approfondita, verificata ed assorbita a 360 gradi, osserva la notizia da più punti di vista, soprattutto mi riferisco ai fatti importanti, tralasciando il gossip, o le notizie inutili che parlano di pettegolezzi su questo o quel personaggio.

- Ascolta le “parole”che vengono usate per dare una notizia, infatti anche “Come” viene data una notizia è importante, a volte più del contenuto, perché “Come” viene data una notizia può amplificarla o ridurla, mettere l’accento sulla notizia o lasciarla sfuggire nel dimenticatoio, “Trasmettere Emozioni” o renderla insignificante.

- Chiediti perché viene dato risalto ad una notizia e viene tralasciata un’altra notizia più importante. Ogni tanto le notizie vengono pilotate in una direzione particolare, alcune possono aumentare gli ascolti, altre meno, così il metro di misura diventa l’audience, il denaro che si può ricavare attraverso le pubblicità associate a notizie forse poco importanti ma che, se producono altissimi ascolti arricchiscono chi sta dietro le quinte, anziché privilegiare l’importanza di alcuni fatti, o l’impatto sociale che possono avere sulla popolazione, anziché stimolare l’interesse degli ascoltatori verso notizie di pubblica utilità o innovative in campo scientifico, nella fisica, nella medicina, nella psicologia, ed altro ancora.

-  Ascolta le notizie che ti vengono date in modo “neutrale”, senza far pendere la bilancia delle tue credenze da una parte o dall’altra, cerca di essere il più obiettivo possibile, anche quando ti sembra che quella notizia particolare sia vera, reale, o difficile da confutare, lasciati sempre un margine di “possibilità contraria”, cioè la tua mente deve essere sempre aperta ai colpi di scena, alle sorprese, al fatto che puoi sbagliarti, ok?

- Cambia l’Atteggiamento con cui segui le trasmissioni ed ascolti le notizie. Con questo intendo dire che se il tuo atteggiamento con cui sei abituato ad ascoltare le notizie, le informazioni, gli approfondimenti è quello di credere subito in ciò che ti viene detto solo perché lo sta facendo la televisione, se la tua prima impressione sui fatti raccontati è quella di darne subito un giudizio a priori, fermati un attimo, rifletti e poniti delle “domande Costruttive” come ad esempio: “cosa mi fa pensare che quella notizia sia vera?”, “cosa mi porta a dare subito un giudizio su ciò che ho ascoltato?”, “cosa mi porta a giudicare questa o quella persona?”, "cosa mi fa dire che quel personaggio sia colpevole o innocente?”, “ho approfondito la notizia?”, “ho verificato ciò che ho appreso dalla tv?” Ecco, rispondi a domande come queste e poi Sicuramente il tuo Atteggiamento nei confronti di ciò che ascolti e di ciò vedi in tv Cambierà. Spero di averti dato alcuni argomenti di Riflessione per analizzare cosa accade quando ascoltiamo la tv e quando ci facciamo un’idea riguardo a ciò che ascoltiamo ed alle persone coinvolte in una situazione particolare.

Ricorda quindi i seguenti punti Importanti:


FONTE: PIUCHEPUOI

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martedì 12 febbraio 2013

Leader di Pessimo Carattere

DI ALESSANDRO CRAVERA

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Molti  leader di successo noti al grande pubblico, non possono essere presi come esempi di leader empatici e relazionali e sono molto lontani dai modelli di leadership descritti nei libri di management (leadership partecipativa, risonante, ecc.). E’ possibile quindi che tutto ciò che si legge sulla leadership sia retorica buonista rispetto ad un mondo reale in cui il leader che si impone è quello autoritario, dispotico, fortemente orientato agli obiettivi e un poco incline all’empatia? Sarebbe sbagliato pensare che le teorie sulla leadership siano prive di valore in quanto scollegate dalla realtà. La ragione di questa lontananza tra le caratteristiche “teoriche” della leadership” e le caratteristiche reali risiede in gran parte nei meccanismi di selezione dei leader o presunti tali. Le competenze e gli atteggiamenti che servono per fare carriera e quindi assumere posizioni di leadership sono molto diversi da quelli che servono per gestire un team o un’azienda. Una fortissima ambizione personale, uno spiccato orientamento all’obiettivo (contro tutto e contro tutti), l’ossessione per il controllo, abbinati ad una non trascurabile dose di narcisismo e al piacere di prendere decisioni e di influenzare gli altri, sono tutte caratteristiche abbastanza comuni nei top manager delle aziende. Queste qualità sono estremamente utili per raggiungere posizioni crescenti in azienda. All’interno delle organizzazioni infatti, viene generalmente premiato chi dedica molto tempo al lavoro, chi non si arrende di fonte alle difficoltà e chi porta in maniera continuativa risultati. Chi, per fare un esempio, diventa direttore commerciale? Chi nel tempo ha raggiunto le migliori performance di vendita, non certo chi è stato più attento a costruire una squadra e a creare un senso di comunità.

Queste caratteristiche non sempre sono quelle più utili per gestire un’azienda una volta occupata una posizione di vertice. Quando la partita è personale, ovvero il raggiungimento dell’obiettivo assegnato è funzionale alla carriera, conta solo il “cosa” (il target raggiunto o meno). Quando invece si è raggiunto l’apice della piramide la partita smette (o dovrebbe smettere) di essere personale e diventa aziendale, riguarda l’intera organizzazione. In questo caso, oltre al “cosa” (l’obiettivo raggiunto) conta molto anche il “come” lo si è raggiunto.  La modalità con cui si conseguono i risultati aziendali contano più di prima perché, in qualità di CEO e quindi di rappresentante degli azionisti, per definizione si dovrebbe essere più interessati a logiche di medio lungo periodo e soprattutto ad assicurare all’azienda performance sostenibili e durature.

Ciò ha molte implicazioni sulle scelte strategiche di investimento ma anche sulla cultura aziendale che si contribuisce a costruire con la propria azione di management. Ecco quindi che l’accentramento decisionale crea dipendenza e pigrizia in alcuni e apatia e demotivazione in altri (i più bravi). E il disinteresse per gli aspetti relazionali rispetto al tema degli obiettivi può determinare la generazione di un ambiente fortemente competitivo e stressante che può generare ripercussioni negative sui flussi di comunicazione interna, sulle sinergie organizzative e sui processi di innovazione. Queste riflessioni non riguardano solo i manager  ma anche il mondo politico. Le competenze per entrare e restare in politica sono oggi molto diverse dalle competenze che servirebbero per amministrare la res-publica. Per essere eletti risultano premianti la capacità di raccogliere consenso con facili promesse, la bassa diplomazia che porta a non prendere mai una posizione per non scontentare nessuno e l’abilità di cambiare opinione a seconda delle situazioni senza nessuna preoccupazione per la propria coerenza e coscienza. Abbiamo tutti ben chiaro come queste “capacità” siano oltremodo nefaste quando si tratta di governare un Paese.


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giovedì 7 febbraio 2013

Una Crescita Infinita in un Mondo Finito è Impossibile

DI SUSTAINABLE MAN
  No alla crescita infinita
Deve esserci una sorta di tacito accordo in politica che impone l’utilizzo della parola ‘crescita’ ogni due frasi. Crescita (in gergo economico) è diventato il vocabolo che unisce tutti gli americani – repubblicani, democratici, indipendentisti, liberali – diventando sinonimo di benessere e prosperità. Misurata dalla crescita del prodotto interno lordo (PIL), la crescita economica è diventata il Sacro Graal del mondo capitalista. La società è così pervasa dalla convinzione generale che più ricchezza materiale viene accumulata, maggiore è il benessere di tutti. Questa visione persiste nonostante sia solo l’1% dei nuclei familiari americani ad aver beneficiato del 93% di tutta la crescita economica del 2010, mentre milioni di persone devono fare i conti con la povertà e la perdita delle loro case.Nonostante l’assurda iniquità che caratterizza la distribuzione della crescita economica, è raro trovare un economista che non la proponga come cura di tutti i mali della società, secondo l’idea che grazie ad una maggiore ricchezza si può comprare un migliore livello di benessere.

Citando Thom Hartmann nel lungometraggio ‘I Am’, questa percezione è ‘fondata su una verità e su una menzogna della nostra cultura. La verità è che se una persona è nuda e al freddo, di notte all’aperto, sola nella foresta e sotto la pioggia, è infelice. Di questo siamo tutti d’accordo. E se qualcuno gli apre la porta di casa e dice ”Vieni dentro, siediti accanto al fuoco, prendi pure dei vestiti, una coperta, un letto e un piatto caldo”, ecco che con cose piccolissime ma che fanno la differenza, quella persona da infelice diventa subito felice. La menzogna, invece, è la convinzione che se questa piccola quantità di benessere rende così felici, allora cento di questi beni renderà cento volte più felici, mille beni mille volte più felici, e quindi un Bill Gates dovrebbe vivere in un stato di perenne beatitudine.’ Sebbene la verità di questa affermazione può essere riconosciuta dalla maggior parte delle persone, la ricerca collettiva della crescita economica fine a se stessa dimostra la mancata comprensione del concetto. Il problema nasce quando i bisogni primari sono stati soddisfatti. La felicità non deriva dal consumo di una maggiore quantità di beni materiali, ma da tutto ciò che non può essere comprato col denaro, cioè le relazioni umane, l’amore, il rispetto, l’essere indispensabili per gli altri e molti altri fattori che rendono la vita degna di essere vissuta.

Ma allora perché la crescita economica è inseparabile dal capitalismo nel mondo che conosciamo? Quattrocento anni fa John Locke, uno dei padri fondatori del capitalismo, osservò che il cittadino medio non possedeva beni di prima necessità come lenzuola, libri, pentole e padelle, utensili vari e così via, mentre le risorse erano abbondanti e illimitate per qualunque scopo e obiettivo dell’epoca. Il capitalismo è dunque nato per facilitare la trasformazione delle materie prime in prodotti che potessero essere utilizzati per rendere più facile la vita quotidiana dell’intera popolazione; si basa infatti sull’ideologia che una crescita esponenziale è necessaria per trovare gli incentivi che sostengano la continua ricerca di nuovi beni e servizi realizzabili e vendibili ad un margine di profitto. In linea generale, chi possiede capitali in esubero cerca un modo per investirli e ricavarne così un guadagno. Un tasso di interesse viene dunque aggiunto all’investimento per compensare l’utilizzo temporaneo del capitale, il che significa che agli investitori deve essere reso più denaro di quanto ne avessero inizialmente messo a disposizione. Dal momento che il denaro è creato dai prestiti (debiti) che vincolano a ripagare più soldi di quelli inizialmente stanziati, il sistema economico è continuamente in deficit poichè costretto a ripagare gli interessi dei debiti precedenti e quindi sotto costante pressione a ricorrere a nuovi prestiti per restituire gli interessi di quelli precendenti. Quando finisce il denaro per ripagare gli interessi, ecco che le banche falliscono e il sistema economico implode causando licenziamenti, bancarotte, pignoramenti e congelamenti dei crediti di mercato.

Nel contesto di una società in cui i beni utilizzabili e i servizi sono scarsi (come nella società di Adam Smith e John Locke), questo sistema funziona alla perfezione. Quattrocento anni fa vi era abbondanza di risorse naturali dalle quali attingere per creare prodotti e servizi da poter vendere. Oggi però viviamo in un mondo nel quale i mercati sono quasi completamente saturi, le multinazionali spendono miliardi di dollari ogni anno per convincere i consumatori di aver bisogno di nuovi prodotti, i quali vengono persino progettati per consumarsi velocemente e creare una condizione di consumo ciclico. Quanti paia di scarpe, vestiti, lenzuola, stoviglie rimangono inutilizzati nei magazzini? Sono stati creati persino dei nuovi reality show per analizzare l’ossessione che le persone hanno per le cose materiali. A quanto pare abbiamo raggiunto il limite fisico, culturale e spirituale della crescita. Quindi cosa ci aspetta? Finché l’attenzione collettiva sarà volta alla continua ricerca della crescita economica, i problemi socio-ambientali saranno destinati ad aumentare. È quindi necessario sensibilizzare la società a nuove forme di economia post-capitalista basata su ‘cose che fanno la differenza’, iniziando a redistribuire le risorse in maniera collettiva e innovativa, per poter creare un mondo all’insegna della prosperità e della sostenibilità per tutte le generazioni future.

TRADOTTO PER ECV DA FABRIZIA BELTRAMONE

FONTE
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domenica 3 febbraio 2013

Lavoro? Sta Semplicemente Finendo in Tutto il Mondo

DI DEBORA BILLI

Employment-Population-Ratio-2012

"Lavorerai con sudore, partorirai con dolore". Chissà se la maledizione biblica vedeva un collegamento tra le due cose. Che sia per l'aumento della popolazione, o per la crisi economico-finanziaria, la situazione del lavoro è tragica per tutto il pianeta.

In Italia, le notizie recenti riportano come la disoccupazione stia crescendo a livelli record, e che il 2013 sarà se possibile anche peggio. Dagli USA, arrivano notiziole di poco valore che dovrebbero essere confortanti, la disoccupazione in calo per miseri 146 mila posti di lavoro creati a novembre. Se invece, come piace a noi, guardiamo i dati da una distanza un po' meno vicina che ieri mattina, ecco il drammatico grafico in apertura che si riferisce proprio agli States. Un crollo senza possibilità di scuse. Un Paese che, dal 95% di occupati del 1969, è passato a poco più del 58; dove un quarto della popolazione vive intorno alla soglia di povertà, dove chi lavora spesso deve fare tre lavori al giorno per arrivare a fine mese, dove i laureati lavorano gratis. La classe media è completamente distrutta. Altrove non va meglio. In Spagna i senza lavoro sono 5 milioni, in Francia la disoccupazione è cresciuta al 10,3% nel terzo trimestre, in Grecia è al 26. Persino in Cina decine di migliaia di laureati e diplomati si affollano in file di ore per la speranza di un colloquio, mentre l'economia rallenta. 


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