giovedì 27 dicembre 2012

Decrescita Non Vuol Dire Tornare al Medioevo

DI GIANPAOLO MARCUCCI

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Uno dei fraintendimenti più diffusi al giorno d'oggi quando si parla di decrescita è quello di pensare ad essa come qualcosa di negativo e spiacevole: "Se parli di decrescita perché usi il cellulare?", "Poi che devo mettermi a fare, il contadino?", "E la gente come fa a lavorare se le aziende non producono?"

La decrescita sembra essere conosciuta dalla massa come qualcosa che porta alla perdita delle comodità del mondo contemporaneo e ad un'involuzione dell'uomo verso una società rurale, povera e a-tecnologica. Ma non è così. Questa infatti non ha a che fare con uno stile di vita più sobrio o con una rinuncia alle cose, non è un modello che vuole togliere all'uomo servizi e benessere, o che vuole peggiorare le sue condizioni di vita, la decrescita ha proprio lo scopo inverso:

"[Il modello della decrescita] vede la necessità di un'inversione di tendenza rispetto al modello dominante della crescita e dell'accumulazione illimitata [e punta al] miglioramento delle condizioni di vita [dell'uomo] [...] ottenuto non con l'aumento del consumo di merci ma con il miglioramento dei rapporti sociali, dei servizi collettivi, della qualità ambientale. (Wikipedia)

La decrescita ha a che fare con la riduzione del consumo "inutile", la redistribuzione delle risorse, la sostenibilità, l'ecologia ed il miglioramento delle strutture sociali e politiche. L'investimento nell'innovazione tecnologica, ad esempio, è uno dei suoi capisaldi. La tecnologia messa al servizio dell'uomo, anzi che a servizio del profitto, potrebbe aiutarci a ridurre gli sprechi e a gestire meglio le risorse della terra che "non sono scarse ma solo mal distribuite", a velocizzare la formazione dell'intelligenza collettiva attraverso la rete e a liberarci dalla schiavitù dei lavori non graditi attraverso l'automazione totale dei mestieri manuali.

Il modello economico attuale ha dimostrato chiaramente il suo fallimento e la sua insostenibilità: Sfruttare la terra come se le sue risorse fossero illimitate e spingersi verso la rincorsa di una crescita infinita è un ragionamento irrazionale, tanto quanto quello di costruire un parco acquatico, quando si ha a disposizione una sola bottiglia d'acqua.

Le aziende per generare profitto continuano a produrre in eccesso, sfruttando i propri dipendenti e sprecando risorse non rinnovabili, ed attraverso i media spingono i cittadini a comprare ciò che è superfluo, a trovare piacere effimero nell'accumulazione e nell'atto di consumare senza curarsi delle conseguenze. Viviamo in un mondo in cui la parola "bene" viene scambiata con la parola merce e in cui l'unico indicatore del benessere di una società è il PIL, che tiene conto solo dei fattori economici e finanziari  e non di quelli sociali, sanitari e culturali (un incidente d'auto ad esempio fa aumentare il PIL perché muove l'economia).

Invertiamo la rotta (De-crescita), abbandoniamo questo modello obsoleto e distruttivo e cominciamo ad agire per primi in maniera nuova. Gli strumenti già li abbiamo: riduzione dei consumi o consumo intelligente, attenzione e rispetto verso l'ambiente e gli animali, attenzione e rispetto verso le altre persone, localizzazione della politica e attuazione della democrazia diretta, localizzazione dell'economia, risparmio energetico e sopratutto partecipazione attiva, investendo il proprio tempo e le proprie risorse nelle attività che possono migliorare la società, anzi che solo il singolo individuo (volontariato, onlus, associazionismo, partecipazione politica attraverso movimenti che nascono dal basso).

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domenica 23 dicembre 2012

Ma Davvero Vogliamo Finire Tutti Sotto i Ponti?

DI RUGGIERO LAURIA

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Quindi cosa è successo? Una cosa molto semplice, abbiamo perso potere di acquisto, cioè con gli 800 euro di oggi non si riescono a comprare le stesse cose che si potevano comprare con 1 milione e mezzo di 20 anni fa. Bene è come è potuto accadere questo? Fondamentalmente grazie ad un fenomeno conosciuto come inflazione.
"In economia il termine inflazione indica un generale e continuo aumento dei prezzi di beni e servizi in un dato periodo di tempo che genera una diminuzione del potere d'acquisto della moneta. Con l'innalzamento dei prezzi, ogni unità monetaria potrà comprare meno beni e servizi, conseguentemente l'inflazione è anche un'erosione del potere d'acquisto." (Wikipedia)
Le cause dell' inflazione sono fondamentalmente due:

1) una molto semplice ossia l'aumento dei prezzi
2) una più tecnica legata ad oscure questioni monetarie

L'aumento dei prezzi può a sua volte avvenire per varie cause: la prima, ed anche l'unica giusta, è quella di un aumento dei costi dei fattori produttivi, il classico esempio dell'aumento del costo del petrolio e dei benzinai che aumentano i prezzi della benzina. Ma molto più spesso il problema è di origine speculativa: i benzinai che non calano il prezzo quando scende il petrolio, le assicurazioni RC auto, i costi dei farmaci, l'aumento smisurato del valore degli immobili e tutti gli aumenti dei "furbetti" che ci sono stati con il passaggio all'euro (e si quello lo abbiamo pagato e lo stiamo pagando molto caro). Insomma persone ed aziende che cercano di aumentare i propri guadagni sulle spalle degli altri. Infine un altro fattore di aumento dei prezzi sono le tasse, nelle loro svariate forme, così se aumenta l'IVA semplicemente tutto costa di più. Di fatto quando parliamo di beni fondamentali: cibo, alloggio, salute, energia e mobilità la gente non può scegliere di smettere o di compare meno, ma può solo subire e, se non riesce a guadagnare di più, si impoverisce. Da qui l'incessante corsa nel cercare di guadagnare costantemente di più per non finire a vivere sotto i ponti.

La questione monetaria è il secondo, ma ancora più pericoloso, in quanto sconoscuito ai molti, meccanismo di impoverimento di massa. Una trattazione approfondita sarebbe lunga e noiosa, per cui mettiamo in evidenza gli aspetti fondamentali della questione:

2) lo Stato quando per stampare denaro deve dare in cambio titoli su cui paga (o meglio paghiamo) degli interessi

Insomma, sia in veste di cittadini che in quella di consumatori, abbiamo un sacco di interessi da pagare, e questi interessi di fatto levano risorse all'economia reale, quella fatta di persone che lavorano e spendono per vivere, di Stati che si prendono cura dei propri cittadini, e le spostano nel mondo della finanza. Tutti ci impoveriamo mentre banche ed operatori finanziari prosperano.
Pertaltro adesso si sono innescati dei meccanismi perversi, tipo gli stati che devono indebitarsi ulteriormente per pagare gli interessi sui debiti precedenti, per cui sono costretti ad aumentare la pressione fiscale, che impoverisce la gente senza fornire in cambio alcun miglioramento nella qualità della loro vita. Insomma ci muoviamo in una spirale verso il basso che vede quasi tutti progressivamente più poveri e pochissimi enormemente più ricchi

Ad ogni modo, dovendo pur cominciare da qualche parte, per mettere apposto le cose io banalmente suggerirei:

1) regoliamo meticolosamente il prezzo dei beni fondamentali facendo in modo che con 800 euro al mese cela si può tranquillamente fare, non strafare, ma semplicemente fare.
2) riformiamo immediatamente il settore bancario-finanziario e che nessuno che non sia lo Stato possa più creare denaro
3) restituiamo agli stati la possibilità di stampare moneta senza indebitarsi

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martedì 18 dicembre 2012

Confondere il Denaro Col Valore

DI DAN E SHEILA GENDRON

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Ci avreste dovuto vedere con i Rolex, diamanti e vestiti all’ultima moda. Avreste dovuto vedere la nostra casa di più di 1000mq con tanto di domestica e giardiniere, per non parlare delle bollette di luce, acqua e telefono. Mi avreste dovuto vedere con la manicure settimanale e l’acconciatura perfetta. Ci avreste dovuto vedere con le nostre Cadillac. Eravamo l’immagine della ricchezza economica – per sfortuna, troppo spesso confusa con il valore effettivo.

Non avreste immaginato che saremmo potuti essere felici in un monolocale di cemento dove bisogna accendere il focolare per riscaldarci. A meno che, certo, non decidiate di guardare al di là delle apparenze. Tutto quel lusso non ci ha mai colpito, sebbene non fosse mai stato comprato a credito ma con i soldi fatti spezzandoci la schiena. Era solo un mezzo per un fine – un rifugio autosufficiente e indipendente dove vivere. La nostra prima casa era poco più di una capanna di compensato di 50mq nella foresta, completata giusto appena per poterci vivere, e non era certo così bella da vedersi. Non ci costò molto e decidemmo di non buttarci troppi risparmi al tempo. Sapevamo che ne avremmo costruita un’altra un giorno (solamente 2 anni dopo). Ma la capanna di compensato aveva valore. Ci teneva al caldo, ci riparava dal brutto tempo e ci dava la libertà per dedicarci ad altri progetti.

Vennero in molti a visitare la nostra Shangri-la, per vedere se la vita autosostenibile faceva al caso loro. Molti diedero appena un’occhiata e se ne andarono terrorizzati. Pensarono che eravamo dei barboni squattrinati che vivevano nel posto migliore che potevano permettersi, senza aver mai avuto la possibilità di vivere ciò che per loro era “la bella vita”. Non sapevano o non riuscivano a capire che avevamo già sperimentato il loro ideale di “bella vita”, che però non ci aveva convinto al punto da scambiarlo con uno stile di vita molto migliore – uno stile di vita basato su ciò che si può fare o immaginare, piuttosto che su ciò che si può comprare. Sapete, se si è sempre costretti a comprare ciò di cui si ha bisogno, si diventa schiavi della corsa al successo, obbligati, con l’aumento dei prezzi,  a fare sempre più soldi per ciò che si è abituati a possedere. I 6 dollari che pagate per il pane hanno forse più valore dei 3 dollari che pagavate per quello stesso pane? Una cattedrale nel deserto vi ripara forse meglio dalla pioggia di una tenda? Quando vi capita di conoscere chi ha meno soldi di voi, li giudicate automaticamente come uomini inferiori per via del loro conto in banca? Trattate chi ha più soldi di voi come persone migliori di voi? Provate a far così piuttosto: scoprite chi sono davvero nel profondo prima di giudicarli semmai. Nel conoscerli, provate a ignorare il loro conto in banca. Sono ricchi di gentilezza e calore umano, o il loro unico pensiero è quanto gli puoi servire e quanto ti possono utilizzare per ingigantire la loro montagna di soldi e di autostima?

La scorsa settimana, in attesa che il nostro libro vendesse qualche copia in più, il cibo cominciava a esaurirsi e la cena a scarseggiare. Allora siamo andati in giardino e raccolto dei pomodori verdi e una zucca gialla ancora acerba. Abbiamo poi aggiunto qualche frutto e dei fichidindia del nostro orto, e con della pasta fatta con le uova del nostro pollaio abbiamo fritto il tutto. Infine ci siamo messi a tavola per una splendida cena, cucinata con amore. “Che ricchezza!” - esclamò nostro figlio Jesse, mentre un sorriso gli illuminava il viso. Lui sì che sa la differenza tra soldi e valore.

Non pensiate che chi non ha un conto in banca non abbia valore, né tantomeno il contrario. Conosco una famiglia che di fatto non ha né un conto in banca né un auto. Sono grandi lavoratori, ascoltano musica classica gran parte della giornata e le loro conversazioni sono più che mai intellettuali. Cucinano cibi semplici e genuine, e mangiano insieme.

Conosco un’altra famiglia che vive in una villa di periferia in una gated copmmunity. Ogni giorno il padre va in ufficio e non si interessa molto dei figli se non per pagare la payTV con le sue 12-14 ore di lavoro giornaliere. Di solito ognuno mangia per conto suo e la cena consiste della prima cosa che capita sottomano in un fast-food tornando a casa. Le loro conversazioni, più che mai rare, toccano argomenti come l’ultima partita di football e le recenti bravate di Lindsay Lohan. E ognuno di loro si preoccupa solo del proprio tornaconto.

Togliete i soldi alla prima famiglia – quei pochi che hanno – e potranno ancora contare sui loro cervelli dato che li usano per dialogare. Potranno contare sul proprio benessere dato che mangiano cibi nutrienti che si cucinano da loro. Togliete i soldi all’ultima famiglia e ne rimarrà ben poco. Da molto tempo (dall’avvento della TV), siamo stati programmati a rincorrere il successo senza preoccuparci di goderci la vita. Siamo stati programmati a misurare il nostro senso di autostima in termini consumistici. Ciò ha fatto sì che il nostro valore come persone equivalga ai soldi che possediamo. E se vengono meno i soldi? Varremmo ancora qualcosa? Il mondo è nel caos più completo, è una fenomeno quasi tangibile, non lo si può più negare oramai. Ma il suo destino è incerto. Può essere ridotto al più infimo ideale di sempre per cui ci si preoccupa solo di noi stessi secondo il preconcetto che i soldi siano la misura effettiva del valore, o può essere elevato al più nobile ideale per cui ci si prodiga per il prossimo dando il meglio di sé e delle virtù umane di più grande valore.
“Chi muore con più giocattoli vince” recitava un adesivo per auto degli anni ’80. Ecco un motto per il nuovo ideale di vita – “Chi vive con più amore nel cuore ha già vinto”.

TRADOTTO PER ECV DA ALESSANDRO MAMMOLITI
 
FONTE: ACTIVIST POST

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domenica 16 dicembre 2012

I Privilegi della Casta non Sono il Problema dell’Italia

DI PIERO VALERIO

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Suppongo che vi sarete già accorti che in queste ultime settimane l’attenzione mediatica e giudiziaria è tutta puntata sulla famelica casta della politica italiana, che nonostante il clima ostile nei suoi confronti continua sfacciatamente le ruberie, infilandosi in uno scandalo dopo l’altro. Le regioni, dalla Sicilia al Lazio, alla Lombardia, per adesso sono nel mirino della Magistratura e della Guardia di Finanza, ma non è escluso che fra qualche giorno si passerà alle province, ai comuni, alle aree metropolitane, fino a rientrare di nuovo nel parlamento per scovare altri Lusi, Belsito, Scilipoti, Razzi. Lavoro da fare ce n’è tanto, perché non ci vuole molto a capire che il migliore della nostra attuale classe politica e dirigente ha la rogna. Basta guardarli in faccia e sentirli parlare per capire quale sia il loro spessore politico, etico o culturale e gli studi di Lombroso e Freud potrebbero aiutare non poco in questa analisi psico-fisiognomica. Ma lasciarsi trascinare dal clima di caccia alle streghe e credere che tutti i problemi dell’Italia derivino soltanto dai soldi pubblici sottratti dai politici alle casse dello stato è un errore di leggerezza e superficialità colossale, che serve a sviare l’attenzione degli italiani dalle faccende realmente importanti e cruciali per il destino del nostro paese.

Per carità, un po’ di pulizia ci voleva e ci vuole sempre sia in tempo di crisi che di abbondanza, perché dei vari Fiorito, Zambetti, Lombardo, Maruccio non sentiremo mai la mancanza ed è giusto che paghino per le loro colpe, ma le questioni in ballo in questo momento per l’Italia non sono nell’ordine dei milioni di euro rubati a destra e a manca dei faccendieri d’accatto infiltrati nella politica, ma dei miliardi di euro, che giorno dopo giorno vengono sottratti alla gestione ordinaria della spesa pubblica e convogliati sotto silenzio verso altre destinazioni, i cui maggiori beneficiari sono quasi sempre le grandi lobbies finanziarie europee e internazionali. La sproporzione informativa fra i fiumi di parole spesi per denunciare i crimini indegni ma contabilmente irrilevanti dei vari politicanti corrotti e il silenzio che regna intorno alle grandi manovre finanziarie di proporzioni ciclopiche, dal salvataggio pubblico di Banca Monte Paschi di Siena alla chiusura dei contratti derivati con Morgan Stanley, dalle quote di partecipazione al Meccanismo Europeo di Stabilità al Fiscal Compact, è la prova più convincente del fatto che in Italia ormai si è instaurato un possente regime totalitario autoreferenziale, che vive e prospera sul legame stretto fra i centri privati di potere nazionali e internazionali e gli organi di informazione asserviti. Snoccioliamo subito alcuni numeri per capire di quali dimensioni stiamo parlando.

Nei primi sette mesi del 2012 il debito pubblico italiano è aumentato di quasi €70 miliardi, di cui oltre €27 miliardi sono riferiti alle sole quote di partecipazione versate prima al fondo salvastati EFSF (European Financial Stability Facility) e poi al Meccanismo Europeo di Stabilità MES: quindi quasi il 40% dell’aumento complessivo del debito pubblico è dovuto ad uscite che non c’entrano nulla con la spesa pubblica, gli sprechi, la corruzione(vedi tabella sotto, con le varie scadenze di pagamento). Altri €6 miliardi circa sono causati dal solitomeccanismo di aumento della quota interessi da pagare perché mediamente il rimborso e rinnovo dei titoli pubblici in scadenza avviene con l’emissione di nuovi titoli pubblici che hanno un rendimento più alto: quindi questa somma in buona sostanza evapora per il solo scarto di interesse fra nuovi e vecchi titoli (quello che comunemente chiamiamo spread). Solo alla Morgan Stanley sono stati versati a gennaio €2,6 miliardi per lachiusura di contratti derivati, ma non sappiamo se intanto il Ministero del Tesoro abbia provveduto a chiudere altre posizioni in derivati aperte con le maggiori banche d’affari internazionali, come Goldman Sachs o JP Morgan, perché queste operazioni sono strettamente riservate e mantenute fuori bilancio. Abbiamo poi i €3,9 miliardi stanziati per il salvataggio della Banca Monte Paschi di Siena, attraverso l’acquisto delle sue obbligazioni spazzatura che impediscono di fatto allo stato di nazionalizzare e controllare l’istituto, il cui valore patrimoniale è oggi pari a poco più di €2,6 miliardi. Abbiamo i buchi di bilancio delle amministrazioni locali, regioni, province e comuni, dovuti spesso ad uso dissennato dell’indebitamento bancario e ad utilizzo troppo superficiale di strumenti derivati, di cui daremo conto nei prossimi articoli. Un fiume straripante di miliardi di euroche dalle casse dello stato, e in ultima istanza dalle tasche dei cittadini, si sposta in massa e a senso unico neiconti di deposito degli oligopoli bancari e finanziari. 

Alla fine, dopo che tutto questo flusso ininterrotto di miliardi di euro ha sfamato e saziato la voracissima Idra della finanza, abbiamo dulcis in fundo, come ciliegina sulla torta di questo quadro agghiacciante, le ruberie, le truffe, i raggiri dei faccendieri prestati alla politica e i costi eccessivi, gli sprechi, i privilegi della casta. Risvolto quest’ultimo sicuramente disdicevole e ripugnante che crea legittima indignazione e rabbia nell’opinione pubblica, perché alla luce del sole e amplificato oltremisura dalla stampa, ma pur sempre una briciola di qualche milione di euro se confrontato con le vagonate stracolme di miliardi di euro che nel silenzio più assoluto vengono sottratti alla gestione del bene comune e riservati alla soddisfazione di una ristretta cerchia di interessi privati. Per avere un termine di paragone siamo nell'ordine di grandezza di 1:1000: per ogni milione di euro rubato da Fiorito, ce ne sono 1000 milioni di euro portati via senza colpo ferire e fare rumore alcuno da Unicredit, Monte Paschi e compagnia bella. Un abisso di differenza in termini strettamente contabili e se Fiorito viene giustamente accusato di essere un criminale, come dovremmo chiamare sciacalli professionisti come Profumo, Mussari, Passera e i dirigenti delle lobbies finanziarie internazionali?

Con questo non voglio giustificare la corruzione o il malaffare politico, per carità, me ne guarderei bene, ma solo ribadire con assoluta chiarezza e schiettezza che esiste una precisa scala gerarchica del ladrocinio nazionale, e in questa piramide il Fiorito di turno rappresenta soltanto l’ultima ruota del carro, mentre ben altri godono dei maggiori frutti del furto che si perpetua senza sosta, la quale a sua volta deriva dalla scelta scellerata di subordinare la capacità di azione politica e lo stato sociale di una democrazia ai finanziamenti delle banche e dei mercati privati dei capitali. Per capire meglio il dramma facciamo un ragionamento per assurdo: dalla relazione della Corte dei Conti sul bilancio dello stato risulta che i “redditi da lavoro dipendente” ammontano per il 2012 a circa €170 miliardi. Immaginiamo di tagliare questi costi con la scure di €85 miliardi, dimezzando il numero dei parlamentari, riducendo gli stipendi di politici e funzionari pubblici, licenziando impiegati, chiudendo uffici ed ospedali: una vera e propria mattanza di proporzioni bibliche, che i curatori fallimentari del governo Monti al soldo della grande finanza riuscirebbero a stento a vagheggiare nei loro sogni più belli. Considerando che lo stato italiano paga ogni anno €90 miliardi circa di interessi sul debito pubblico, questi soldi andrebbero quindi a rimborsare soltanto le cedole e gli interessi sul debito senza ridurre di un centesimo la quota capitale, che dovrebbe essere intaccata imponendo altri tagli draconiani alla spesa dello stato, fino a raggiungere l’agognato pareggio o di bilancio. Se guardiamo sotto la distribuzione del debito pubblico tra i vari creditori nazionali e internazionali, possiamo notare chi intascherebbe i soldi ricavati da questo ipotetico taglio massiccio della spesa corrente.

Secondo i dati aggiornati a luglio 2011 della Banca d’Italia solo il 14% del debito pubblico italiano è posseduto da privati residenti in Italia, il 26,8% è nelle mani di “istituzioni finanziarie monetarie” (banche, fondi comuni), il 13,5% da assicurazioni e fondi pensione, il 3,65% direttamente dalla Banca d’Italia e il 43% è nelle mani di soggetti non residenti, cioè all’estero, presumibilmente grandi istituzioni finanziarie. Dalle analisi ricognitive più recenti di Banca d’Italia sappiamo che la quota di debito pubblico detenuta all’estero è crollata drasticamente al 31,7%, perché grazie agli aiuti LTRO della BCE le banche italiane sono state costrette a ricomprarsi i titoli di stato posseduti dalle società finanziarie straniere, in particolare tedesche e francesi. Tuttavia, a parte questo passaggio di consegne tra banche, la quota di debito in mano ai residenti privati, famiglie e aziende non finanziarie, è rimasta pressoché costante. Questo è il punto. Solo una quota minima di tutti i soldi che vengono rastrellati dal governo per rimborsare il debito pubblico rimangono in Italia, nelle mani di soggetti che poi quei soldi "potrebbero" spenderli e investirli nell’economia reale, mentre tutto il resto va ad ingrossare le riserve delle banche nazionali ed estere, che sappiamo benissimo come  vengono utilizzate: rimborsare i debiti contratti, acquistare titoli finanziari, rinforzare il deposito precauzionale presso la banca centrale, limitare al massimo i prestiti ad aziende e famiglie, soprattutto in questo periodo di recessione e di incertezza diffusa.       

E’ evidente che una tale redistribuzione viziosa dei redditi dal basso verso alto  sia la causa principale del calo generalizzato della domanda aggregata (consumi, investimenti, spesa pubblica) che ha automaticamente fatto diminuire il prodotto interno lordo PIL di circa -2,5% nel 2012, aggravando non poco gli effetti recessivi in corso e fornendo poche prospettive di ripresa per i prossimi anni. Un salto nel buio, che prima o dopo, quando i risparmi degli italiani saranno stati prosciugati, ci condurrà all’instabilità sociale, alle rivolte di piazza, all’ingovernabilità, come sempre è accaduto nella storia quando si è venuta a creare una simile disparità cronica di ricchezze e diritti. Questo è il percorso a cui andiamo incontro perseguendo a testa bassa la lotta cieca ai costi della politica e ai privilegi della casta, senza avere chiaro il quadro generale d’insieme. Il vero problema dell’Italia non sono affatto gli sperperi e gli sprechi della politica, ma come questi soldi eventualmente risparmiati o chiesti ai soliti contribuenti vengono poi utilizzati ad esclusivo vantaggio dei gruppi finanziari internazionali. Paradossalmente, come ha già fatto notare qualcuno, quando diamo un alto stipendio ad un politico, almeno siamo certi che in una qualche misura l’arraffone in questione spenderà questi soldi in vestiti, ristoranti, case, viaggi, auto di lusso, gioielli, feste, teatri, facendo girare bene o male l’economia, mentre trasferendo  questi soldi dagli emolumenti dei parlamentari per darli alla finanza sappiamo già per certo che andranno definitivamente persi nei circuiti interbancari e finanziari, senza mettere in moto praticamente nulla, a parte i finanziamenti diretti forniti alle grandi aziende e multinazionali (società spesso imparentate in qualche modo con le stesse banche creditrici). Non dobbiamo quindi stupirci se, come si evince dal grafico riportato sotto, tutti gli ultimi sforzi richiesti ai cittadini e le manovre di bilancio adottate dal governo per ridurre a monte il deficit pubblico, con continui aumenti di tasse e tagli alla spesa, si riflettano poi a valle in un ulteriore peggioramento del rapporto debito pubblico/PIL, che è passato in un solo anno di governo Monti dal 123% al 127%. Trattandosi di un rapporto, se il denominatore tende a diminuire più rapidamente del numeratore, il risultato finale nel complesso non può che aumentare: questa è algebra da scuole elementari e non serve una laurea alla Bocconi per afferrare i semplici meccanismi descritti (per questo motivo possiamo dire con certezza che gli esimi professori del governo tecnico sono in malafede, mentono pur sapendo di mentire, e il loro scopo ultimo è solo quello di arraffare più soldi possibile agli italiani per rimborsare i grandi creditori nazionali e internazionali, prima che tutto crolli).

Ripeto, con questo non voglio dire che sia corretto lasciare gli stipendi alti a politici e funzionari pubblici, per consentire loro di continuare a vivere una vita da nababbi mentre i cittadini sono costretti a stringere la cinghia e fare sacrifici, ma ponderare bene come e dove verranno veicolati i soldi eventualmente risparmiati: meglio i vitalizi dei politici o i bonus dei dirigenti di banca? O ancora peggio, togliere soldi alla spesa pubblica per depositarli sui conti di riserve delle banche, privando cittadini e imprese dei mezzi di pagamento necessari. Il vero problema dell’Italia quindi, e lo si capirà meglio vedendo le dimensioni finanziarie in gioco (dell’ordine di milioni di euro e non di miliardi di euro), non sono gli sprechi, gli sperperi, gli abusi, la corruzione della politica (fenomeni questi distorsivi e devianti dell’illegalità diffusa che vanno comunque aspramente combattuti), ma il fatto che la politica non ha più gli indispensabili strumenti fiscali e monetari per agire attivamente nell’economia e invertire il declino in corso, avendo delegato tutte le proprie sovranità ad istituzioni sovranazionali come la BCE e l’Unione Europea che hanno le idee molto chiare su come utilizzare i poteri acquisiti: salvaguardare i privilegi della finanza privata, le rendite di investitori e speculatori, gli interessi di grandi gruppi industriali e multinazionali a costo di affamare i cittadini e distruggere lo stato sociale.

Il vero problema dell’Italia è la costrizione imposta a tutta l’economia di rimanere agganciata ad una moneta unica forte come l’euro che sta annientando la competitività del tessuto produttivo nazionale, salassando i salari dei lavoratori, amplificando gli squilibri interni ed esterni del paese con il resto degli stati europei. Il vero problema dell’Italia è che continuando su questa strada apriremo le porte ad una progressiva ma inesorabile colonizzazione dei grandi gruppi industriali e finanziari stranieri, rinunciando all’autonomia produttiva e peggiorando anno dopo anno la dipendenza dagli investimenti esteri e il tasso di indebitamento con il resto del mondo. Il vero problema dell’Italia è la selezione della classe dirigente, che viene scelta con cura in base alla scarsa competenza e capacità decisionale o alla facilità con cui si lascia manipolare o corrompere da agenti esterni alla politica. Il vero problema dell'Italia è il continuo attacco della propaganda che tende ad assottigliare e ridimensionare le istituzioni democratiche dello stato in favore di interessi e controlli privatistici della politica. In confronto a questi problemi cruciali, i vitalizi dei parlamentari sono il classico fumo negli occhi che serve ad annebbiare la vista, perché a quel punto, quando la nazione sarà priva di qualsiasi capacità di reazione, non ci sarà più bisogno della politica, del parlamento, della democrazia, in quanto vivremo in una sorta di dittatura finanziaria e industriale eterodiretta in cui le decisioni verranno prese altrove e i residenti non avranno più alcuna voce in capitolo non solo per far valere le proprie legittime istanze di  giustizia ed equità sociale, ma anche per rivendicare gli essenziali diritti democratici che stanno alla base della pacifica convivenza civile (non ultimo il diritto di voto). Inutile ricordare che da trenta anni a questa parte, con l’adesione totale e convinta ai programmi oligarchici e totalitari dell’Unione Europea, il processo di espropriazione di potere, di ricchezza, di democrazia è già abbondantemente in corso e sotto gli occhi di tutti.

FONTE: TEMPESTA PERFETTA

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sabato 15 dicembre 2012

Da Grande Farò il Calciatore

RIPENSARE LA TV IN TEMPO DI CRISI
DI ALESSIA GERVASI

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La televisione contribuisce alla costruzione della nostra percezione della realtà, questo è un dato di fatto. Molti psicologi e studiosi dei media, già da parecchio tempo, hanno messo in evidenza l’influenza del mezzo televisivo soprattutto su alcune fasce di pubblico come i bambini e gli adolescenti che non sempre sono in grado di distinguere tra finzione e realtà e che sono più esposti al pericolo di emulazione di fronte a contenuti aggressivi e violenti o semplicemente “facili”. Il dibattito sulla televisione ha coinvolto studiosi appartenenti a varie discipline spingendoli a interrogarsi su eventuali pericoli prodotti da un’ esposizione non consapevole.

L’epistemologo Karl R. Popper, che ha definito la televisione “cattiva maestra”, ha persino proposto in passato una patente per chi fa televisione e un albo per i lavoratori della televisione. Per il filosofo John C. Condry la televisione è una “ladra di tempo”, “un’emerita bugiarda” e una “serva infedele”, è “un’istituzione che serve gli interessi delle imprese da cui è sponsorizzata molto più di quelli del pubblico”. Pasolini aveva anticipato quarant’anni fa il potere omologante della televisione. Il dibattito sugli effetti dei media, e in particolare della televisione, appare più che mai attuale se lo si considera in una prospettiva di più ampio respiro includendo in esso la percezione della società stessa e la fase attuale di crisi lavorativa che stiamo vivendo. La televisione e la pubblicità creano desideri che nella maggior parte dei casi risultano impossibili da raggiungere. Un ideale eccessivamente votato all’apparenza e al riconoscimento sociale, al successo effimero e scontato, oggi più che mai, non può trovare spazio. La fallacia di questo modello si sta rivelando in modo prorompente.
La realtà lavorativa attuale, infatti, è tutt’altro che facilmente accessibile, e non solo per la crisi economica che ha ridotto i posti di lavoro, ma perché la concorrenza è troppa (causa l’aumento dei laureati in lizza per un posto adeguato al loro titolo di studio). Viviamo nella fase del lavoratore “a ribasso”: giovani qualificati costretti a sgomitare per un posto molto al di sotto delle loro potenzialità. Cosa c’entra questo col successo evanescente proposto dalla televisione? E’ poco incoraggiante che l’adolescente italiano medio sogna ancora di fare il calciatore. Ancora meno lo sono i milioni di giovani aspiranti ad un reality dai gusti sempre più volgari. Dunque, se ancora la televisione generalista da l’immagine che potresti essere “quell’uno che su mille ce la fa” e ce la fa senza troppi sforzi, allora forse è il caso di volgere lo sguardo anche a chi, tra i 999 rimasti, lotta per conquistarsi col sacrificio una vita dignitosa e magari cerca nel suo piccolo di contribuire al funzionamento della società. Sarebbe auspicabile che periodi di crisi come questo spingessero a fermarsi, riflettere, trovare soluzioni innovative e ricominciare traendo vantaggio dagli errori del passato e da modelli che risultano funzionali solo in superficie ma che nella sostanza creano una realtà falsa o frustrante.
Allora che fare? Fortunatamente sono lontani i tempi in cui si pensava che i messaggi dei media arrivano direttamente al bersaglio senza alcuna mediazione cognitiva. Man mano l’attenzione delle teorie sui media si è spostata da cosa i media fanno alle persone a cosa le persone fanno dei media, mettendo in luce la presenza di un soggetto consapevole che processa le informazioni al quale viene sottoposto.

La televisione dovrebbe diventare uno strumento utile al bene della società, dovrebbe recuperare quella funzione pedagogica che essa aveva prima dell’avvento della tv commerciale in cui serviva per “acculturare” gli italiani. Oggi ovviamente quella funzione dovrebbe essere ripensata e adattata al momento attuale che stiamo vivendo. Anche perché, proprio per la sua scarsa aderenza con la realtà, rischia di essere completamente soppiantata dai media più giovani tra cui internet, più adatti ad un consumo libero, consapevole, in cui è possibile riflettere e scegliere i propri contenuti. E soprattutto rischia di essere esclusa (e questo sta già accadendo) dai tanti giovani che non si identificano con quei modelli proposti e che pertanto preferiscono i media alternativi per costruirsi la propria immagine di realtà.

La televisione dovrebbe includere, inoltre, più specialisti del settore, perché ci sono ma non trovano spazio. Basta dare un’occhiata al numero di laureati che ha prodotto la facoltà di scienze della comunicazione negli ultimi anni (per altro oggi costretti a far scadere la propria professionalità per mancanza di prospettive lavorative). E allora, riconsideriamo, alla luce delle riflessioni attuali, la patente ipotizzata da Popper per i professionisti dei media. Restituiamo il ruolo se non pedagogico, per lo meno di qualità che la televisione ricopriva un tempo. E infine ricordiamo che i professionisti dei media ci sono, solo che sono sparsi qua e là a guadagnarsi da vivere facendo tutt’altro.

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martedì 4 dicembre 2012

Diventare Essenziale Fa Bene al Cervello


10icojt

Per fare del bene al cervello liberati dai pesi inutili: si inizia tagliando le azioni superflue all'interno dei rapporti d'amore, nelle amicizie, coi figli

Il superfluo è nemico del cervello
Quando ci sentiamo liberi la vita ci sembra più leggera, respiriamo meglio, siamo attenti e ricettivi a ciò che ci circonda. Soprattutto, il cervello funziona meglio. Cosa ci impedisce di essere sempre così? Pensiamo a quante azioni superflue facciamo ogni giorno, a quanto appesantiamo il nostro cervello per tenere in vita rapporti ormai logori. Queste mascherate ci sfiniscono. La strada allora è semplice: sfoltire. Spazio alle azioni "dirette al fine" come la freccia al bersaglio, stop all'inutile, alla pesantezza, alla noia: essenzialità. Il cervello ringrazierà...

Via dagli amori finiti...
Nel corso della vita molte persone rimangono "impantanate" nella palude di relazioni amorose tormentate, spesso già finite, che sopravvivono solo per testardaggine o per non urtare le convenzioni sociali, perché rompere fa paura. Così il cervello "si abitua" ad un modo di vivere abitudinario e smette di esprimere tutte le sue potenzialità.

...dalle amicizie logore...
Ciò accade anche in quei rapporti di amicizia fatti di routine consolidate, dell'uscita canonica al sabato sera in cui non ci si dice niente, che si vorrebbe evitare ma che si replica per quieto vivere. Basta dire un "no", e per una volta inventarsi un'uscita diversa, scoprendo un nuovo interesse che apre spazi di piacere impensati.

..e dai rituali familiari
Anche il rapporto con i familiari, figli o genitori, può essere facilmente sfrondato dall'inutile, reso più piacevole ed essenziale. È inutile ripetere all'infinito lo stesso rimprovero o la stessa raccomandazione ai figli: meglio dire le cose una volta sola. Ripetersi non serve a niente, ed è assai dannoso per il cervello. E non è necessario ridurre la visita ai genitori a uno stanco rituale del fine settimana: spesso è meglio una comparsata la sera, senza preavviso, per tenere vivo il piacere del legame.
Soprattutto, alla larga dai luoghi comuni: intossicano il cervello

Infine, facciamo una bella pulizia dei discorsi inutili: se le chiacchiere da bar coi colleghi a base di sport e tv sono un dovere più che un divertimento e ci lasciano vuoti e stanchi, meglio scoprire un posto nuovo e mangiare da soli, magari con un buon libro. Ridurre la falsa cortesia, come in certi rapporti di buon vicinato, e portare il linguaggio all'essenziale è un buon modo per rendere "più snello" ed efficente anche il cervello.


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domenica 2 dicembre 2012

Il Potere delle Reti

Video Tradotto per Ecco Cosa Vedo
DA ALESSANDRO MAMMOLITI



In passato il principale sistema di rappresentazione della realtà era l’albero. L’albero è stato infatti usato come chiave di lettura del mondo sin dai tempi dell’antichità, in ambito filosofico, religioso, scientifico e naturalistico per via della sua capacità di semplificazione e catalogazione del sapere.

Dopo un periodo di numerose innovazioni e scoperte scientifiche è stato poi introdotto il concetto di rete. Data la sua capacità di mettere in relazione e collegare distinte aree del sapere in forma organica e universale tale modello ha posto le basi per un rivoluzione copernicana della rappresentazione della realtà. In questo video pubblicato da RSA e doppiato da Ecco Cosa Vedo,  scopriamo, seguendo le riflessioni di Manuel Lima, un nuovo concetto di mondo in cui ogni elemento è influenzato e connesso da tutti gli altri.

L'esempio oggi più noto di tale concetto è quello della rete internet, in cui, grazie alla quale il sempre più rapido e libero scambio d'informazioni e dati sta portando alla luce la natura organisticista della società.

La prospettiva delle reti è ormai pronta per conquistare ogni sfera delle attività umane e tutti i campi del sapere. È molto più di un nuovo e utile strumento di analisi. Le reti sono, nella loro più intima essenza, la stoffa di cui sono fatti quasi tutti i sistemi complessi, e nodi e link permeano ogni nostra strategia volta ad affrontare il nostro universo interconnesso.
A.L. Barabási



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