giovedì 28 giugno 2012

La Vera Rivoluzione: Esprimere una Creatività Cosciente

DI JIDDU KRISHNAMURTI

albero della vita metodo

Esiste una rivoluzione che avviene all’interno degli schemi della società ed esiste una rivoluzione totale che non ha nulla a che fare con la società. Questa rivoluzione totale, che è estranea alla società, io la definisco una rivoluzione religiosa.

Una rivoluzione religiosa non può avvenire nell’ambito della società, e quella che avviene all’interno della società non è affatto una rivoluzione, è soltanto la continuazione più o meno modificata dei vecchi schemi sociali. Io credo che quanto sta accadendo nel mondo sia una rivoluzione che non modifica affatto i vecchi schemi, e spesso una rivoluzione del genere si manifesta in atti che noi chiamiamo criminosi. Avremo sempre a che fare con rivoluzioni di questo tipo finché i nostri sistemi educativi insegneranno ai giovani a conformarsi alle esigenze della società, che sono quelle di cercarsi un lavoro, di guadagnare del denaro, di accumulare dei beni e di possedere sempre di più. È questo che ovunque nel mondo la nostra cosiddetta educazione propone ai giovani. Insegniamo ai giovani a conformarsi sul piano religioso, morale, economico. Quindi la loro rivolta non può far altro che indirizzarsi verso un cambiamento, una riforma di schemi sociali. Ma una rivolta del genere non esce dai limiti strutturali della società e quindi non ha nulla di creativo.

Forse, se impartissimo ai giovani un’educazione completamente diversa, potremmo offrire loro la possibilità di una nuova comprensione che consenta alla mente di liberarsi da qualsiasi condizionamento. Questa educazione dovrebbe incoraggiarli a rendersi conto delle tantissime influenze che condizionano la mente e la inducono a conformarsi.

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lunedì 25 giugno 2012

Può esserci una Banca Etica?

DI GANPAOLO MARCUCCI

Oggi le banche non sono propriamente tra tra le istituzioni che godono di maggiore fiducia da parte della popolazione mondiale. Le loro politiche appaiono ambigue e spesso anzi che aiutare i cittadini sembrano metterli in difficoltà.

Ma è proprio vero che tutte le banche sono cattive? All'interno del sistema finanziario attuale è possibile pensare ad una banca che sia realmente al servizio del cittadino? Insomma una banca buona, trasparente, etica, è possibile oppure no? Abbiamo sentito sul tema Andrea Baranes uno dei fondatori di Banca Etica.

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venerdì 22 giugno 2012

La BCE e l’Euro Sono Ufficialmente di Proprietà Privata

DI GIANPAOLO MARCUCCI

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Il 12 marzo 2012 Olli Rehn, vicepresidente della Commissione Europea, risponde così all'interrogazione parlamentare dell'eurodeputato Marco Scurria sulla proprietà dell’Euro:

"L'articolo 128 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea costituisce la base giuridica per la disciplina dell'emissione di banconote e monete in euro da parte dell'Eurosistema (costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali). La proprietà delle banconote e delle monete in euro dopo l'emissione da parte dell'Eurosistema è disciplinata dalla legislazione nazionale vigente al momento del trasferimento delle banconote e monete al nuovo proprietario, ossia al momento dell'addebito del conto corrente bancario o dello scambio delle banconote o monete."

Questa affermazione ufficiale segna l'epilogo del lungo e confuso dibattito riguardo la natura della moneta unica. Rehn infatti ci spiega chiaramente che nella fase dell’emissione (stampa delle banconote o apparizione di cifre sui monitor dell’Eurosistema) la moneta appartiene alla BCE mentre dopo l’emissione la proprietà dei valori nominali appartiene a “chi ha accettato l’addebito”. Per chiarire meglio cita anche l’articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea il cui comma 1 recita così: La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.”

Dunque la BCE è ufficialmente il proprietario della moneta al momento della sua emissione. Tale istituto, non consegna il denaro emesso agli stati al prezzo di fabbricazione (ipotizziamo 30 centesimi per la stampa di una banconota da 100€, quasi nulla per il denaro virtuale), bensì lo presta al suo valore nominale (ad esempio nel caso della banconota da 100€ costata 30 centesimi, 100€) e in più chiede un piccolo interesse. Questo è il sistema attraverso il quale oggi viene emessa la moneta in Europa. Nulla risulterebbe essere problematico (a parte la storia dell’interesse) se tale istituto, la Banca Centrale Europea, che emette l’Euro a regime di monopolio, fosse pubblico e se quindi gli stati chiedendo denaro si indebitassero con loro stessi (come accade in Giappone). Tuttavia, tale istituto, proprio pubblico, non è.

La Banca Centrale Europea, come si evince dal suo sito ufficiale è di proprietà delle banche centrali di ciascuno dei paesi membri dell’unione che rientrano nell’Eurosistema. Sostanzialmente nei paesi dell’Eurozona la BCE è rappresentata dalle banche centrali nazionali. Ebbene, le banche centrali, non hanno affatto l’obbligo di essere pubbliche. In Italia la banca definita “centrale” è la Banca d'Italia, un istituto i cui partecipanti al capitale sono per circa il 95% società privatePrivati, che hanno come solo scopo quello di massimizzare il proprio profitto (e non il benessere dei cittadini) sono creditori del debito pubblico, un debito che non si potrà mai estinguere. Attraverso questo meccanismo, tali gruppi di potere possono decidere le sorti di intere nazioni: farle fallire oppure salvarle, forzarle ad adottare una forte politica di privatizzazione in modo da far divenire, ciò che prima era di tutti, acquistabile da chi ha più denaro. Tale logica scriteriata è causa dei suicidi in piazza e della morte per fame e freddo di milioni di persone.

Eppure la soluzione ci sarebbe, ed è una soluzione politica: nazionalizzare le banche centrali e le banche commerciali, cominciare a battere moneta sovrana e liberarsi del debito accumulato negli anni da politici disonesti appellandosi al “debito detestabile”. Esempi simili li abbiamo avuti in Argentina e in Islanda. Ma che cos’è il debito detestabile? Citiamo una spiegazione esauriente:

Debito Detestabile

“Il concetto di “Debito Detestabile” costituisce un precedente giuridico importantissimo, in quanto legalmente già usato proprio dagli stessi Stati Uniti nel 1898, al momento del conflitto ispano-cubano che portò all’ annessione di Cuba, per rifiutarsi di pagarne il precedente debito pubblico da essa contratto col regime coloniale Spagnolo. “Detestare” il debito e rifiutarsi di sottostare al cappio fraudolento del suo pagamento è quindi cosa fattibile e del tutto lecita, una volta dimostrata la completa illegittimità di un Debito di cui i cittadini non sono responsabili: il Diritto Internazionale offre diversi strumenti a tal fine, uno dei quali è appunto la nozione di debito detestabile. Debito Pubblico che è dunque possibile dichiarare “detestabile” se esistono le condizioni atte a soddisfare i tre requisiti giuridici di seguito esposti:

1) Il governo del Paese deve aver conseguito il prestito senza che i cittadini ne fossero consapevoli e senza il loro consenso.

2) I prestiti devono essere stati utilizzati per attività che non hanno portato benefici alla cittadinanza nel suo complesso.

3) I creditori devono essere al corrente di questa situazione, e disinteressarsene.”

E’ compito di tutti informare quante più persone possibile, rappresentanti politici compresi, sulla natura fraudolenta dell’Euro e sulle possibili soluzioni al problema.

Nella scala che porta alla risoluzione di un problema il primo gradino è la consapevolezza della sua esistenza.


Leggi anche: 
Precedente Interrogazione parlamentare alla quale si fa riferimento nell’interrogazione riportata sopra.

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domenica 17 giugno 2012

OpenIDEO, un modello di web 2.0 per Prendere Decisioni

DI PASQUALE MORMILE

OPENIDEO

Il passaggio dal web di prima generazione al web 2.0 ha avuto implicazioni che superano il mero aspetto tecnologico. Anzi, la tecnologia ha avuto il ruolo, e ovviamente il merito, di rendere operativa una concezione nuova di internet. In breve, si è passati da un web informativo e statico, dove gli utenti si limitavano a cercare informazioni sui diversi portali, senza la possibilità di interagire e di segnalare eventuali errori, ad un web relazionale ed emozionale, basato sui principi di collaborazione e condivisione.

Il cammino, lento e progressivo, verso il social internet ci ha portato nell’era dei social network, di Facebook, Twitter, Youtube, Linkedin e Pinterest, l’ultimo nato della scuderia che utilizza il linguaggio delle immagini. Prima di loro c’è stato il traguardo intermedio dei blog, nati verso la fine degli anni ‘90 proprio per l’esigenza delle persone di condividere la loro esistenza attraverso pensieri, opinioni, riflessioni ma anche immagini e video, favorendo l’interazione attraverso i commenti e la nascita delle community. Questa esigenza, che qualche sprovveduto chiama ancora moda, ha prodotto più di 150 milioni di blog nella rete, dimostrando come le persone, dopo aver “scoperto” internet, hanno in seguito cercato il modo per renderlo funzionale alla loro vita quotidiana. L’affermarsi di questa concezione relazionale del web, ha dato vita ad una pluralità di comunità caratterizzate da diverse finalità: da quelle con fini didattici (pensiamo alle dinamiche di collaborazione e partecipazione nella redazione delle pagine wiki), ai vari portali con finalità politiche (sono sempre di più i movimenti e i think tank che trovano nel web la visibilità negatagli dai grandi mezzi d’informazione tradizionali).

Non solo. Ora anche il settore privato è sempre più attento all’impatto che internet ha su mercati ed imprese. Le notizie sono merci e le conversazioni sono mercati. È questo l’assunto di base di Cluetrain Manifesto, insieme di 95 tesi organizzato come un manifesto, curato da diversi autori tra i quali David Weinberger, filosofo - per la precisione un tecnologo - statunitense attento ai mutamenti indotti da internet su società, comunicazione e relazioni personali. Le prime due tesi di Cluetrain Manifesto - “I mercati sono conversazioni” e “I mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici” - sintetizzano in pochissime parole il cambiamento silenzioso ma sostanziale che l’economia e l’impresa hanno subito per effetto dell’utilizzo di internet nella nostra vita quotidiana. Grazie alla rete, i mercati divengono più informati, più intelligenti e più esigenti rispetto alle imprese, che se hanno intenzione di continuare ad esistere devono adeguarsi allo stile comunicativo del web relazionale che costruisce la reputazione in base alla tua capacità di recepire i feedback provenienti dai consumatori, ponendoti però al loro stesso livello, il che vale a dire far comunità con loro per poter conquistare la loro fiducia. Questo ragionamento vale tanto per le piccole e piccolissime imprese, quanto per le grandi multinazionali, o almeno quelle più illuminate tra queste ultime, che sono sempre più attente a bilanciare la loro legittima esigenza di creare un profitto dalle loro attività con il sempre più necessario bisogno di conquistare la fiducia dei mercati. La sfida a questo punto è capire come coinvolgere le persone in un modo originale e soprattutto capace di creare una collettività qualificata, più o meno ampia, caratterizzata da un elevato tasso di fiducia e cooperazione. Ci hanno pensato quelli diIDEO, società californiana specializzata nella consulenza in innovazione aziendalehuman-centered, dove è l’uomo il fattore primo di innovazione, creando OpenIDEO.

Cos’è OpenIDEO? Si tratta di una piattaforma web che attraverso il metodo della progettazione partecipata, al quale prendono parte i membri della sua community, mira alla realizzazione di progetti socialmente innovativi. In pratica, ogni progetto parte da una sfida (challenge), introdotta da una domanda nella quale si chiede alla comunità di OpenIDEO di affrontare un particolare problema la cui soluzione porterà ad un aumento del benessere collettivo. I partecipanti - tutti possono far parte della community OpenIDEO - collaborano quindi ad un processo, diviso per fasi, che giunge a sintetizzare delle soluzioni al problema di partenza che siano sostenibili, ovvero fattibili. Il processo di problem solving di OpenIDEO si suddivide in 4 fasi principali: la prima fase, detta “Inspiration”, consiste in un brainstormingd’idee, che dovrebbero ispirare la ricerca di una soluzione al problema, dove gli utenti sono liberi di scegliere il tipo di contributo da fornire - si potrà condividere le proprie esperienze personali, oppure suggerire delle buone pratiche già messe in pratica in precedenti iniziative riguardo lo stesso problema e che hanno avuto successo - ; la seconda fase, vale a dire il “Concepting” è il momento in cui, sulla base delle fonti d’ispirazione della prima fase, la comunità da vita a delle proposte che siano già una possibile soluzione del problema, magari creando anche dei piccoli gruppi di collaborazione che condividano la stessa proposta; nella fase di “Evaluation” la comunità di OpenIDEO è quindi chiamata ad una valutazione dei progetti - qui il tasto“Applaude” sostituisce il facebookiano “Like” - ; ultima fase quella di “Winners announced”, in cui vengono dichiarate vincitrici le proposte più “applaudite”.

A questo punto chi ha lanciato la sfida, qualora lo ritenga, potrà mettere in pratica le proposte vincitrici del challenge. Un esempio pratico è stato una sfida lanciata da Nokia eOxfam, ONG che lavora su progetti nei paesi del terzo mondo, nella quale si chiedeva alla comunità web di elaborare delle buone idee per migliorare la salute nel periodo della maternità con l’aiuto dei telefoni cellulari. Partendo da 285 contributi in termini di inspiration, si è giunti a selezionare 182 proposte in fase di concepting divenute poi 20 concetti finali, 10 dei quali sono stati dichiarati vincitori. Le idee vincitrici sono state ulteriormente raffinate da Oxfam che sta cercando di metterle in pratica per i suoi progetti di cooperazione. Consultando il sito di OpenIDEO si possono trovare altri challenge tutti miranti a produrre un miglioramento tangibile per la qualità della vita delle persone. Attraverso queste piattaforme di social web, capaci di mettere assieme persone da ogni parte del mondo, è possibile realizzare un’innovazione sociale che valorizza la loro creatività e la loro voglia di partecipare nel cercare soluzioni a problemi, spesso, molto complessi. L’innovazione principale portata dal web 2.0, di cui OpenIDEO è uno dei prodotti concettualmente più sofisticati e allo stesso tempo pratici, consiste nell’aver reso internet un valore aggiunto per l’ingegno, la creatività e la socialità umana attraverso la creazione di relazioni fiduciarie di elevata qualità.

Purtroppo in Italia questa consapevolezza sembra non essersi ancora affermata. Molti considerano il “sito” internet uno strumento tecnologico, facebook una cretinata per bambini (peccato si sia presentato in borsa con una delle tredici offerte pubbliche iniziali più elevate nella storia dei mercati internazionali) e la banda larga un investimento secondario per la ripresa del sistema economico italiano (voglio morire). Ma dopotutto, Mario Monti è a Palazzo Chigi mica per caso.

FONTE: Unimondo.org

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