sabato 31 marzo 2012

Il Denaro Non Stimola al Miglioramento

TRADOTTO DA MARCO CANESTRARI

Il funzionamento delle nostre motivazioni è incredibilmente interessante. Questa scienza è sorprendente e stravagante. Non siamo manipolabili all’infinito né così prevedibili come si potrebbe pensare. Ad esempio l’idea comune è che più una persona viene ricompensata e più si ottiene il comportamento voluto. Anche che più una persona è punita e meno si ottiene tale comportamento.

E’ stato fatto uno studio presso l’M.I.T. su un gruppo di studenti a cui è stato dato una serie di compiti: memorizzare serie di cifre, risolvere dei cruciverba ed anche attività fisiche come fare canestro con una palla. Per incentivare i loro risultati sono stati dati tre livelli di ricompensa: se si è fatto abbastanza bene si ottiene una piccola ricompensa monetaria, se si è fatto mediamente bene si ottiene una media ricompensa e se si è fatto molto bene si ottengono molti soldi. Questo è il tipico schema di ricompense nelle organizzazioni che conosciamo: premiamo i primi, ignoriamo gli ultimi e ricompensiamo moderatamente chi sta in mezzo. Cosa è successo nell’esperimento? Gli studenti hanno fatto i test, hanno avuto i loro incentivi ed ecco cosa si è scoperto: Finché il compito è esclusivamente meccanico, allora più alta è la ricompensa e più si ottengono risultati migliori. Sembra ovvio. Ma non appena i compiti richiedono anche solo delle rudimentali capacità cognitive si è scoperto che più alta è la ricompensa e MINORI sono i risultati dei compiti. Come è possibile? Questa conclusione è contraria a quello che ci insegna l’economia. Quando il compito richiede qualche attività cognitiva allora il premio più alto ottiene il risultato più basso. Funziona al contrario di come pensavamo. L’esperimento sembrava il prodotto di una strana cospirazione di scienziati comunisti! Allora si è continuato il test in altri contesti. Si è pensato che forse un premio di 60 dollari fosse insufficiente per motivare una persona del M.I.T. allora si è condotto l’esperimento in una città rurale dell’India dividendo i premi in questa maniera: la piccola ricompensa equivale a due settimane di stipendio, la media ricompensa ad un mese di stipendio, la grande ricompensa a due mesi di stipendio. Si è rilevato che a chi è stato offerto il premio medio non ha ottenuto risultati migliori rispetto a chi è stato offerto il premio minimo. E soprattutto si è constatato che a chi è stato offerto il premio maggiore ha fatto peggiori risultati di tutti. E il risultato ottenuto dall’esperimento non è stato un eccezione.

L’esperimento è stato ripetuto moltissime volte da psicologi, sociologi, economisti e il risultato è stato sempre lo stesso: per compiti meccanici, elementari e lineari il discorso della ricompensa funziona. Ma non appena i compiti richiedono delle attività concettuali o creative allora questo tipo di motivazioni non funzionano. Si è visto anche che le ricompense in denaro non funzionano se sono piccole, ma devono essere abbastanza sostanziose da permettere alla persona di incassare i soldi e non preoccuparsi più del denaro ma di pensare solo al lavoro da fare. Tre fattori portano ai risultati migliori e, naturalmente, ad una soddisfazione personale maggiore: Autonomia, Padronanza, Scopo. L’AUTONOMIA è il desiderio di decidere da soli, di essere il regista delle proprie azioni. Molte nozioni tradizionali sulla gestione del lavoro sbagliano proprio su questo punto. Tali nozioni possono funzionare solo se si vuole ottenere obbedienza. Ma se si vuole ottenere un impegno propositivo, che è quello che vogliamo oggi che le persone lavorano su cose sempre più complicate, allora lasciare decidere da soli la persona produce migliori risultati. Ecco alcuni esempi estremi: una società australiana di software ha fatto qualcosa di veramente figo. Una volta ogni tre mesi, per 24 ore, i propri dipendenti possono lavorare su qualsiasi cosa vogliono. Possono lavorare nel modo che vogliono e con le persone che vogliono mostrando i risultati del lavoro al termine delle 24 ore. Le sessioni di lavoro non erano per niente stressanti. Erano molto divertenti con birre, dolci e scherzi. E’ successo che un solo giorno di pura autonomia ha prodotto una serie di soluzioni a problemi su software già esistenti e anche una serie completa di idee per nuovi prodotti che fino a quel momento non erano mai emerse! Se, prima di conoscere questa ricerca, si fosse promesso un bonus di 2500$ a chi avesse prodotto qualcosa di innovativo, non sarebbero emersi tali risultati. Invece un giorno di autonomia ha prodotto risultati inimmaginabili.

Ora parliamo della PADRONANZA. La Padronanza è la spinta a voler migliorarsi e a saper fare meglio. E’ il motivo per cui alcune persone suonano degli strumenti musicali nei fine settimana comportandosi in maniera che sembra economicamente irrazionale. Suonare strumenti musicali il fine settimana? Perché farlo se non ti pagano e non ci fai soldi? Perché è divertente! Perché impari qualcosa di nuovo e migliori e questo da soddisfazione. Andiamo un pochino indietro nel tempo e immaginiamo di tornare al 1983 dalla mia prima professoressa di economia di nome Mary Alice Shoma. Disse: ho un’idea per un nuovo modello economico, ecco come funziona… Bisogna che ci sia un gruppo di persone altamente qualificate prese da varie parti del mondo che facciano un lavoro di alta competenza. Ma che lo vogliano fare GRATIS!!! Che volontariamente impieghino 20 o 30 ore a settimana del loro tempo in questo lavoro. Molti guardarono la professoressa in maniera molto scettica. Lei disse: Non ho finito… e continuò… “Poi, dopo aver terminato il prodotto, questi professionisti lo vogliano regalare gratis invece che venderlo!”. Sarebbe Prodigioso! Molti pensarono che fosse impazzita. Cosa è successo poi? Molte cose… Abbiamo avuto LINUX! Che è supportato da un quarto dei server corporativi e da quattro o cinquecento aziende. Abbiamo avuto APACHE che è supportato da più della maggioranza dei servers web. Abbiamo avuto WIKIPEDIA… Cosa sta succedendo? Perché la gente sta creando tutto ciò gratuitamente? Perché così tanti professionisti, molti di loro tecnicamente qualificati e altamente competenti, che già hanno il loro lavoro, che fanno dei lavori tecnicamente difficili… Perché questi professionisti nel loro limitatissimo tempo libero, si mettono a fare dei lavori professionali, ma non all’interno del loro impiego retribuito, li fanno invece per qualcun altro… e GRATIS!!??

E’ un comportamento economicamente strano. Un economista che li guardasse direbbe: Perché fanno così? E’ estremamente chiaro: Sono stimolati perché vogliono migliorare e vogliono dare un contributo. Sempre più associazioni e organizzazioni vogliono avere uno SCOPO profondo e trascendente. In parte perché un ambiente con divertimento e libertà invoglia i lavoratori, in parte perché cosi si ottengono risultati migliori e miglior talento. Quando la motivazione economica è distante dagli ideali accadono delle cose molto brutte… Eticamente brutte, ma anche servizi scadenti e prodotti scadenti. In un posto di lavoro non “ispirato”, dove la motivazione del guadagno economico è la maggiore preoccupazione oppure quando la motivazione economica è completamente incompatibile con le proprie ideologie, i lavoratori non fanno mai cose grandi. Le aziende che fioriscono sono quelle animate da finalità elevate. Un paio di esempi: il padre di Skype. Il telefono senza la bolletta. Steve Jobs: Voglio fare “Ding!” nell’universo. Ecco il genere di cose che fanno svegliare l’uomo la mattina con la foga di andare a lavorare. Siamo dei massimizzatori di “IDEALI”, non solo di profitto. La scienza ci mostra che abbiamo un istinto molto profondo di acquisire capacità, di migliorarci e perfezionarci… Di essere gli autori delle nostre azioni. Dobbiamo acquisire un enorme consapevolezza su questo argomento.

Se iniziamo a trattare le persone come persone e non come forza lavoro da manipolare con il premio del denaro… Se abbandoniamo queste vecchie ideologie e guardiamo cosa ci dice la scienza, potremmo costruire organizzazioni e stili di lavoro che ci fanno crescere, che ci fanno stare bene e che facciano diventare il mondo un pochino migliore di quello che è ora.

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mercoledì 28 marzo 2012

Harvard conferma che le Carni Rosse fanno venire Cancro e Infarto

DI MARCO CANESTRARI

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Una relazione ufficiale di Harvard pubblicata su archives of internal medicine studiando la dieta di 37.698 uomini e 83.644 donne per oltre dieci anni conclude che: L'assunzione di carni rosse è associata ad un incremento del rischio di malattie cardiovascolari e di mortalità per cancro. La sostituzione delle proteine della carne rossa con altre proteine è associata ad un rischio di mortalità più basso.

FONTE: Archives of Internal Medicine

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venerdì 23 marzo 2012

La Crisi della Moneta Privata

DI FAUNO LAMI

In occasione del simposio sulla Società Sostenibile organizzato a Verona il 19 novembre 2011 da Zeitgeist Italia abbiamo intervistato Enrico Caldari di Kaldari Report. Nell'intervista si fa subito chiarezza sulle origini della crisi odierna: non manca il denaro nel mondo, manca una sua corretta gestione da parte delle nazioni.

Infatti la moneta in sé non è affatto da demonizzare. Se utilizzata come bene comune, che la società utilizza per crescere e fluidificare gli scambi, non fa che aggiungere valore alla vita nella società. Tuttavia oggi il denaro è creato per il 90% da banche commerciali, che costringono i paesi a "prenderlo in prestito", creando con esso un debito sempre crescente e a lungo andare inestinguibile. Ma questa situazione può finire? Abbiamo alternative o solo vaghe utopie? Una soluzione pratica e collaudata potrebbe essere quella di rendere la moneta uno strumento pubblico, anziché lasciarla in mano a pochi privati. Fare in modo che gli stati possano produrre la propria moneta senza indebitamento e quindi senza dipendere dagli interessi delle banche private.

Il denaro è uno strumento che fino ad ora è stato in mano a poche persone, che lo hanno utilizzato per controllare la popolazione restante. Riprendiamone il controllo e riprendiamoci la fiducia verso la moneta che fino ad oggi ci è stata rubata.

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giovedì 22 marzo 2012

Non Facciamo i Maestrini

DI GIANPAOLO MARCUCCI

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Qual è il primo gradino della scala che porta alla soluzione di un problema? La consapevolezza che esso esiste in quanto problema. Pensando che il gruppo di persone che frequentiamo più spesso o i contatti del nostro vicinato virtuale siano rappresentativi dell’intera popolazione di un paese, molto spesso ci illudiamo del fatto che i problemi ritenuti da questi - ed anche da noi -  come scontati, siano scontati per tutti e che chi ancora non ci è arrivato è un menefreghista o un superficiale.

In realtà, la maggioranza degli italiani ancora si informa solo attraverso la televisione che tende ad omettere tutto ciò che non favorisce il controllo economico e politico da parte di chi la possiede. Se vogliamo che percentuali sempre più alte della popolazione si impegnino nella ricerca di soluzioni a problemi comuni, dobbiamo pertanto partire da quello che è il primo passo verso la consapevolezza: l’informazione. Per strada, attraverso la rete, con qualsiasi mezzo, informare è divenuto un dovere di ogni cittadino. Ma come fare per rendere tale forma di azione civica il più efficace possibile? Come comportarsi quando si deve comunicare un qualcosa che necessita un radicale cambio di punto di vista da parte di chi ascolta? Poniamo il caso ch’io comprenda che la terra è tonda in un momento in cui tutti sono legati all’idea che questa sia piatta. Scrivere un libro sulla mia scoperta o tenere delle conferenze in cui espongo tecnicamente la mia teoria non è sufficiente. Le persone si legano emotivamente alle idee; le convinzioni e le credenze fanno parte del proprio spazio identitario e scardinarle o modificarle non è una cosa semplice e, di sicuro, non è realizzabile solo attraverso il piano intellettuale.

Bisogna agire in modo da coinvolgere le persone a cui ci rivolgiamo, creare con esse un rapporto di fiducia disinteressato, spogliarci delle divise da maestrini e impegnarci a condurle per mano in un percorso di apprendimento che sia il più possibile empatico. Per far si che più persone possibile prendano coscienza di un problema, dobbiamo innanzitutto stimolare un ambiente sereno, rassicurante e fertile al cambiamento, eliminando tutti i possibili attriti che potrebbero presentarsi. L'offesa, la provocazione, le manifestazione d’autorità, l’atteggiamento altezzoso, sono tutti elementi che frenano moltissimo la ricettività e l’apprendimento, pertanto vanno limitati il più possibile. Se io ho l’intento di informare o di educare qualcuno in merito a questioni complesse che lo riguardano da vicino o che intaccano delle sue credenze o convinzioni e nel momento in cui riscontro delle inevitabili difficoltà nel farlo dico: “Ah si? Non ci credi che la terra è tonda? Allora vai a quel paese con la tua terra piatta, io costituisco la mia cerchia di persone che mi seguono nelle mie rivelazioni e mi rivolgo a loro” sto fallendo in maniera definitiva. Quando una persona fatica a prendere coscienza, non devo rinunciare nel mio intento o dare a questa la colpa, ma devo rivedere il mio metodo d’insegnamento e le mie modalità di comunicazione.

Essere consapevoli vuol dire avere la responsabilità di aiutare gli altri a vedere meglio. Riscopriamo la bellezza dell’umiltà e cerchiamo di impegnarci in un’informazione che divenga sempre più empatica e che favorisca il più possibile la presa di coscienza. Solo così contribuiremo alla soluzione dei problemi che la nostra epoca ci pone davanti.

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venerdì 16 marzo 2012

Lasciate Ogni Speranza, Voi Ch’Agite

DI VALERIO PASSERI

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Si parla ormai costantemente della possibilità di uscire da questa crisi economica che “ci ha colpito”.  L’unica soluzione che ci si sente propinare da TV e media ufficiali che fanno da cassa di risonanza a politici e tecnici, può essere riassunta nelle parole “speranza” e “sacrifici”. Bisogna gettare lacrime e sangue – per continuare ad usare parole ricorrenti – per avere speranza. Ma la speranza è qualcosa che si realizza concretamente o funge da “oppio per i popoli”?

Sperando in un avvenire migliore, che non arriverà mai, si accettano cose che normalmente non si accetterebbero. Continuare a fare sacrifici, seppur con la promessa di un domani felice, porta frustrazione e smarrimento. Frustrazione che necessariamente poi dovrà essere riversata contro qualcun altro. Questo qualcuno però non sarà di certo colui che ci offre speranza –senza il quale ci sentiremmo persi – ma sarà l’emigrato,  qualcuno che faccia parte di una categoria sociale che sentiamo antagonista o più semplicemente la prima persona che ci rivolge la parola. Queste tensioni sociali portano conflitto sempre contro l’ “altro”, perché magari questi sta meglio di noi e quindi bisognerà tentare di “farlo fuori” per prendere il suo posto. In situazioni di crisi non si ha tempo per guardare al problema, non si cercano soluzioni per risolverlo, si cerca di sopravvivere a discapito degli altri aspettando che il politicante economista di turno ci risolva tutto, come promesso. La crisi porta alla disgregazione sociale. Un popolo diviso, fatto soltanto di singoli, non riesce ad agire propositivamente, ognuno può solo tirare a campare, sperando che la prossima vittima del sistema non sia lui, ma magari il suo vicino. Pensare di dover abbandonare ogni speranza per andare avanti, può sicuramente recare spavento, in quanto siamo abituati a pensare che senza speranza, ci si pari davanti la realtà nuda e cruda da accettare per quella che è, anche se non ci piace.

Invece è proprio senza rifugiarci dietro una prospettiva che non si attuerà mai da sola, senza delegare il cambiamento a qualcun altro e ad un altro tempo diverso da adesso, che saremo in grado di migliorare la nostra vita e questo sistema politico, economico e sociale. Se si smette di credere a promesse e speranze propinate dall’alto, l’unica cosa che rimane da fare è agire proprio ora. E quando si comincia ad agire il cambiamento è già arrivato.

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venerdì 9 marzo 2012

La Creatività

DI JIDDU KRISHNAMURTI

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La creatività non ha nulla a che fare con i risultati che una tecnica consente di raggiungere. Potete raggiungere la perfezione nel suonare il pianoforte e tuttavia non essere creativi. Potete suonare meravigliosamente il pianoforte e tuttavia non essere musicisti. Potete essere molto abili a trattare i colori e a disporli su una tela con grande accortezza, pur non essendo veri pittori. Potete dipingere un volto o scolpire una statua perché tecnicamente avete imparato come si fa, e tuttavia in voi può non esserci alcuna creatività.

La creatività viene prima di qualsiasi tecnica: e proprio perché non sappiamo che cosa sia la creatività, viviamo miseramente. Sappiamo costruire una casa, costruire un ponte, assemblare un motore; abbiamo prodotto vari sistemi educativi con i quali alleviamo i nostri figli; conosciamo bene queste tecniche, ma il nostro cuore e la nostra mente sono vuoti. Siamo macchine straordinarie. Sappiamo funzionare in maniera meravigliosa, ma siamo incapaci di amare qualcosa che è vivo. Nonostante possiate diventare bravi ingegneri, abili pianisti o possiate essere capaci di scrivere in bello stile, in inglese, in marathi o in un’altra lingua, nessuna tecnica vi consentirà mai di scoprire la creatività. Se avete qualcosa da dire creerete il vostro stile per dirlo; ma se non avete nulla da dire, anche se sarete capaci di usare uno stile meraviglioso, quello che scriverete sarà solo una ripetizione, un ripetere con parole diverse un vecchio discorso.

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martedì 6 marzo 2012

L’Uomo a Misura di Mondo

DI GIANPAOLO MARCUCCI

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Quando si parla di politica, economia, lavoro, società, ambiente, tutti coloro che sostengono sia necessario cambiare rotta dicono almeno una volta nella loro vita: vogliamo un mondo a misura d’uomo. Tutti lo reclamano, è uno slogan ritenuto fondamentale tanto dagli attivisti più sfegatati che dai più miti lettori di scritti etici.

Ma perché vogliamo un mondo a misura d’uomo? Non è forse l’uomo che ha guidato il nostro sistema politico-economico al collasso e alla distruzione dei diritti umani? Non è l’uomo che, in nome di paure, angosce e tentacolari proiezioni del suo io, ha portato allo sfruttamento folle ed incondizionato delle risorse del pianeta? Siamo sicuri che il mondo non sia già fin troppo a misura d’uomo? Perché invece che riflettere su noi stessi e su ciò che ci circonda continuiamo ad elevarci ad esseri superiori? Perché chiediamo ancora uno sforzo al mondo, affinché divenga lui a nostra misura, a nostra immagine e somiglianza? E’ il momento di rivalutare questa concezione egocentrica e deresponsabilizzante e cominciare a capire che non è il pianeta a doversi adattare a noi, ma siamo noi a dover abbracciare le sue leggi. Lui ci sta facendo la gentile concessione di ospitarci e noi, in cambio, gli chiediamo più di quello che può dare e pretendiamo che divenga un pozzo infinito da cui pescare rimedi alle nostre inquietudini. Se vogliamo il cambiamento siamo noi che dobbiamo cambiare! Sta a noi muoverci nella direzione di ciò che vogliamo veder realizzato; in quello che mangiamo, in quello che acquistiamo, in come ci comportiamo con le persone che ci stanno accanto, in ciò che facciamo di lavoro, in quello che diciamo e in cui crediamo, in tutto, tutto ciò che rappresenta la parola noi.

Prestiamo attenzione a cosa chiediamo: Non è un mondo a misura d’uomo quello di cui abbiamo bisogno. Ciò che dobbiamo pretendere, invece, è che ognuno di noi divenga un uomo a misura di mondo.

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