domenica 18 dicembre 2011

La Favola di Democrazia

DI GIANPAOLO MARCUCCI
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C'era una volta una città chiamata Democrazia. All'interno delle sue mura tutti i cittadini avevano l'illusione di poter contare. Siete a Democrazia, la migliore città che esista, il popolo è sovrano e ognuno col proprio voto può partecipare attivamente alla vita politica della città.” Queste parole erano scritte su tutti i muri e in tutte le case.

A Democrazia vivevano due categorie di persone: i governanti e i governati. I governanti erano un gruppo ristretto di uomini che si occupava di gestire la città, i governati erano invece numerosissimi e passavano le loro giornate a lavorare e a distrarsi davanti a bizzarre scatole scintillanti. Una tacita regola da tutti conosciuta e seguita voleva che i governati, troppo impegnati per potersi occupare delle cose di tutti, delegassero i governanti a svolgere le attività di governo. Tale meccanismo rendeva tutti contenti, i governanti che erano molto ricchi e i governati che seppur poveri non dovevano occuparsi delle noiose attività politiche. Sotto tale sistema, per anni Democrazia godette di ottima salute. Mano a mano che il tempo passava, tuttavia, i governanti si accorsero che nessuno chiedeva notizie riguardo al loro operato. Ogni cinque anni infatti i cittadini si limitavano a scegliere chi doveva governarli, senza poi curarsi di cosa essi decidessero di fare. Così riuniti in assemblea, con fare cortese, cominciarono a stipulare degli accordi tra loro e decretarono che i privilegi di cui essi stessi dovevano godere, sarebbero dovuti essere decisamente maggiori rispetto a quelli già previsti; a pagare questo aumento, dovevano naturalmente essere i governati in quanto esenti dall'occuparsi delle decisioni politiche. I Governati dovettero così lavorare di più per poter pagare nuove tasse. In cambio ottennero più ore di luce all'interno delle loro scatole. Ogni anno a Democrazia i privilegi dei governanti aumentavano e insieme ad essi le ore di lavoro dei governati. L'incremento era tuttavia così graduale che nessuno se ne accorse, e tutto sembrò sempre andare per il meglio.

Un bel giorno però, alle porte di Democrazia, bussò un misterioso cavaliere bianco. Nessuno aveva mai visto tale figura in vita sua, poteva essere pericoloso, ma i governanti, troppo impegnati a godere dei privilegi concessisi, non si curarono dell'accaduto e il cavaliere entrò senza difficoltà. All'inizio i cittadini di Democrazia guardavano con sospetto tale individuo. Lo osservavano solo da lontano, ne erano spaventati; in fondo, era un cavaliere misterioso. Ma un pomeriggio, in occasione della più importante festa della città, quando tutti i cittadini erano raccolti nella grande piazza per cantare l'inno a Democrazia,  questi fece il suo ingresso sul palco. Stette fermo per un attimo tra lo stupore della folla, poi scese da cavallo, si voltò verso il pubblico incuriosito e disse: "Cittadini di Democrazia, il mio nome è Rete, sono un cavaliere e sono qui per farvi capire che vi stanno ingannando! Vi dicono che contate, ma in realtà non siete più che polli d'allevamento! I governanti se ne stanno nei loro palazzi ad ingozzarsi mentre voi sgobbate tutto il giorno e l'unica cosa che potete fare è far finta di scegliere ogni 5 anni il vostro Re!

Vi fanno credere che non siete in grado di occuparvi della politica, vi tolgono il tempo e la voglia e vi spingono a delegare qualcuno che lo faccia al posto vostro! E chi lo dice che questo qualcuno lo farà onestamente? Che farà i vostri interessi e non solo i suoi? Nessuno, e come se non bastasse, una volta delegato, non potrete nemmeno lamentarvi se le cose non vanno, perché l'avete scelto voi! Se si vuole cambiare qualcosa bisogna guardare al meccanismo, non al singolo ingranaggio. La delega è uno strumento insidioso, tanto comodo quanto dannoso. Per aspirare ad una città che sia più equa e trasparente, che permetta davvero a tutti di dire la propria, di contare, di proporre, bisogna cambiare approccio! Spegnete quelle scatole scintillanti e cominciate ad occuparvi direttamente di quello che accade fuori dalla vostra finestra, in prima persona, perché se non lo fate voi, non lo farà nessun altro. "

Appena il cavaliere finì di parlare i governanti si guardarono tra di loro e consci d'esser stati smascherati, provarono impauriti ad ordinare l'arresto del cavaliere. Ormai però qualcosa era accaduto, negli occhi e nei cuori dei cittadini era scattata una molla da troppo tempo incastrata negli ingranaggi della convenzione. Il cavaliere aveva risvegliato Democrazia! Tutto d'un colpo i governati si resero conto che i governanti erano uomini uguali a loro,  senza niente di più, e che per anni li avevano sfruttati per godere di una vita agiata. Così fecero un cordone umano intorno al cavaliere e lo portarono al sicuro. Subito dopo si riunirono in assemblea, tutti quanti, per la prima volta, e decisero di togliere tutti i privilegi e tutti i poteri ai governanti. Seguendo Rete, eletto promotore della rivoluzione, decretarono che da quel momento ogni cittadino avrebbe contato come uno, che non  ci sarebbero più stati governanti e governati e che ogni forma di delega sarebbe stata bandita.

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lunedì 12 dicembre 2011

Debito Pubblico e Fascismo Fiscale

DI LUCA CARISTINA

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In un sistema economico-monetario come il nostro, nel quale 1 Euro emesso dalla banca centrale costituisce immediatamente 1 Euro di debito pubblico, risanare i conti dello Stato e ridurre il debito pubblico significa innanzitutto ridurre il denaro che abbiamo a disposizione e,  contemporaneamente, far crescere il PIL, cioè produrre sempre di più. Ma ciò non basta, occorre tassare, tassare sempre di più, ma neanche questo è sufficiente, occorre vendere beni e servizi pubblici, sempre di più, sempre di più, in modo tale che il debito pubblico si mantenga al di sotto del 60% rispetto al PIL - oggi l'Italia viaggia a circa il 120%.

Il sistema è "di per sé insostenibile" poiché è una follia - soprattutto oggi - pensare di poter produrre 100 tenendo la quantità di denaro/debito al di sotto di 60, sia per l'entità del debito stesso che lo Stato ha (più gli interessi che continuano a generarsi), sia per la difficoltà sempre maggiore delle imprese di sostenere i costi di gestione della propria attività produttiva e di ripagare i propri debiti d'investimento nei confronti delle banche commerciali. Come possiamo intuire, la grave situazione non dipende né dagli stipendi dei politici, né dall'evasione fiscale, né dal fato, né da carenza di regole ma è una crisi di sistema dall'epilogo già scritto. E' ormai di dominio pubblico che col trattato di Maastricht e di Lisbona la sovranità monetaria è stata ufficialmente consegnata nelle mani della BCE. Il resto lo stiamo vivendo oggi. Rincresce prendere atto che ancora una volta la propaganda dei mainstream media ha avuto la meglio sulla presa di coscienza e sul saper leggere tra le righe, dietro le parole e dietro ai discorsi. Dietro nuove promesse di un risanamento che con l'attuale sistema economico non sarà mai realizzabile. L'allarmante disoccupazione (tasso di disoccupazione attuale giovanile pari al 29,2% - e totale pari al 8,5%), la crisi d'impresa, di liquidità e le nuove misure del governo (nuovi vincoli e nuove tasse aggiuntesi alla pressione già esistente) stanno già mettendo e metteranno a disposizione della gente redditi sempre più bassi, risparmi sempre più esigui. La domanda è destinata a calare, quindi una crescita del PIL è da escludersi.

L'unico parametro su cui il governo attuale può agire, e agirà, è la riduzione del debito pubblico, rastrellando quanta più moneta possibile dalle tasche di tutti. Poveri e meno poveri. Buoni e cattivi. Onesti e disonesti. Ovunque e con ogni mezzo.


FONTI:
- Ministero dell'Economia e delle Finanze
- ISTAT
- Corriere della Sera
- Fondo Monetario Internazionale
- Banca d'Italia
- Trattato di Maastricht
- Trattato di Lisbona

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lunedì 5 dicembre 2011

Decreto salva (Bank)italia

DI VALERIO PASSERI

Il nuovo decreto presentato dal nostro presidente del consiglio Mario Monti, si occupa tutt'altro che di salvare gli italiani.

Lo scopo principale è accrescere a dismisura il potere economico e bancario a discapito della vita dei cittadini italiani. L'articolo 8 di questo nuovo decreto, in particolare, è atto al far concedere prestiti dallo stato verso le banche "in difficoltà" che a loro volta presteranno questi soldi a tassi d'interesse maggiori a noi cittadini.

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La Terza Guerra Mondiale

DI GIANPAOLO MARCUCCI
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L'euro è morto, è nato morto, si muove, agisce, governa, ma è morto. Ciò a cui di più esso assomiglia è la figura dello zombie che come nella migliore delle tradizioni cammina senza essere vivo. L'euro, come gli zombie, si nutre di cervelli, i cervelli di chi lo tiene in vita, attraverso la formazione di organi sovranazionali che in suo nome distruggono intere nazioni e i cervelli di chi, da sfruttato, continua a credere in esso, perché "non c'è alternativa alla moneta unica".
 
L'euro è uno zombie e gli zombie fanno paura; i leader europei sono arrivati a minacciare il mondo di far scoppiare la terza guerra mondiale se stacchiamo la spina al nostro simbolo unificatore e non alimentiamo la sua vitale agonia. Nei film gli zombie sono autonomi, nascono da un'anomalia, un virus, un'epidemia. Nella realtà i nostri zombie sono disegnati, prodotti e tenuti in vita da uomini, uomini incalcolabilmente ricchi, che hanno il potere di decidere delle sorti di miliardi di persone senza che queste possano in alcun modo interferire nei loro piani. Cosa possiamo fare per difenderci dagli zombie? Sparargli dritto al centro della fronte? No, non servirebbe a nulla. I nostri zombie sono a prova di proiettile, perché non sono umani: i nostri zombie sono idee, convinzioni, consuetudini, atteggiamenti. L'unico modo per sconfiggerli è quello di compiere scelte più consapevoli e di partecipare sempre più attivamente alla vita politica del paese. L'informazione è il primo passo, i cittadini informati sono più difficili da manipolare e sfruttare; poi viene la presa di coscienza, bisogna capire che tutto ciò che crediamo essere immutabile o immodificabile o semplicemente conseguenza dell'unica via, in realtà può e deve essere messo in discussione. L'euro non è l'unica moneta possibile, come d'altronde il controllo degli stati da parte di banche private non significa per forza il normale corso dell'economia moderna e del capitalismo. La televisione, strumento di controllo le cui redini sono tenute da élite e potentati economici che puntano al dominio delle masse è il grande complice dei nostri zombie. Dunque se vogliamo salvarci dall’invasione dei non-morti, non ci resta altro che chiudere la bocca al loro portavoce. I palinsesti dei media tradizionali sono pianificati in modo da proporre esclusivamente problemi alla cui soluzione noi cittadini non possiamo in alcun modo contribuire. Da “finestra sul mondo”, la Tv è oggi divenuta una “finestra su un muro”  che ci divide dal mondo. Chiudiamo allora quella finestra virtuale e apriamone un’altra, la finestra di casa nostra. Ricominciamo ad occuparci dei problemi del vicinato, del quartiere, della città.
 
Bisogna acquisire la consapevolezza del fatto che nel momento in cui tutti insieme decideremo di impegnarci per cambiare le cose, il cambiamento sarà già avvenuto. E allora agiamo costruttivamente, abbandoniamo la delega, partecipiamo direttamente e diffondiamo consapevolezza. Facciamolo, tutti insieme, ora, perché se non si risvegliano i vivi, sarà per sempre il tempo degli zombie.
 
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venerdì 2 dicembre 2011

Perché ci Leghiamo alle Abitudini?

DI MARCO CANESTRARI RIADATTATO DA FAUNO LAMI

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Perché abbiamo dei vizi? Perché il pensiero si affeziona a dei gesti conosciuti e ripetuti all’infinito? Molte identificazioni che abbiamo si traducono in abitudini, che cerchiamo di ripetere e ripetere accumulando sempre di più esperienze piacevoli a cui ci attacchiamo progressivamente, che finiscono per crearci dipendenze.

Molte persone ad esempio hanno la dipendenza e l’abitudine del fumare le sigarette. Anche se aspirare i residui del processo di combustione di foglie essiccate è dannoso per le cellule del nostro corpo, sia a breve che a lungo termine, a molti da piacere. Dopo migliaia e migliaia di sigarette fumate si associano innumerevoli idee che danno piacere all’idea di fumare una sigaretta, l’idea di una pausa, l’idea del rilassamento, l’idea di essere emancipati, l’idea di prendersi un piacere per sé, l’idea di essere sazi e di fumare a fine pasto, magari dopo il caffè, l’idea che si fuma nei momenti di tempo libero e divertimento, l’idea che il gesto della sigaretta ci da un tono quando non sappiamo che posizione prendere con le mani vuote e siamo in imbarazzo, e così via… Così ogni volta che fumiamo, noi cerchiamo di riprodurre come un rituale uno o più di queste associazioni e cerchiamo di rievocare e di rivivere con compiacimento, il piacere accumulato pezzettino per pezzettino di tutte le esperienze che abbiamo avuto in passato relative a queste immagini. Cerchiamo di ripetere lo stesso rituale che nel tempo abbiamo imparato a tradurre come piacere tramite innumerevoli identificazioni, ci prepariamo ad esso e poi ci immedesimiamo in tutte le idee passate. Riviviamo il piacere e contribuiamo a rafforzare l’idea di piacere che già avevamo relativa alla somma di tutte quelle idee - “Fumare una sigaretta mi piace”. Al di là delle idee soggettive, il fatto è che per ogni sigaretta noi ci stiamo danneggiando, le nostre cellule stanno morendo, il fatto è che creiamo un danno al nostro corpo nel presente e molti potenziali rischi di malattie gravi a lungo termine - Bronchite cronica, cancro. Alcune cellule subiscono delle trasformazioni, alcune dei traumi, alcune dei processi degenerativi, invece noi proviamo piacere nel fumare approcciando la realtà tramite idee ed esperienze.

Il nostro pensiero, basandosi sull’esperienza, interpreta l’evento provocandoci piacere. Il piacere è dato dal pensiero quando si autoconferma nell’identificazione a ognuno o tutte le singole idee dei rituali, delle abitudini, quando fumiamo. Quando infatti il piacere diventa abbastanza grande da percepirlo, da ricercarlo e riprovocarlo di proposito, siamo identificati in tale piacere e quindi dipendenti. Se vogliamo una sigaretta in quel momento ma non la possiamo avere perché non abbiamo soldi, abbiamo una dipendenza psicologica oltre che fisica che ci porta a soffrire. Il dolore è dato dalla mancanza della sigaretta nel momento del bisogno. Non abbiamo dato nel corso delle ripetizioni al gesto di fumare un significato piacevole? Che ci allevia una precedente ansia o sofferenza o disagio? Quando siamo identificati e dipendenti non diamo a quel gesto (dannoso) un significato di aiuto? Di salvezza? Da qui la sofferenza legata alla dipendenza. Chi cerca di smettere di fumare deve affrontare un processo di sofferenza dovuto alla dipendenza psicologica. Ogni idea in cui ci identifichiamo e che ci da piacere se confermata e ripetuta, è sempre sotto la minaccia del dolore nel momento che ne abbiamo bisogno ma non possiamo ripeterla. Ovviamente esistono infiniti tipi di identificazione, oltre quello del fumare una sigaretta, infiniti tipi di abitudini che vogliamo confermare e ripetere. Ci da piacere ripetere le nostre idee a cui siamo identificati e soffriamo quando non sono confermate.

Identificarsi con l’idea di un fatto provoca a volte piacere e altre volte sofferenza. Però se analizziamo in profondità, scopriamo che l’identificazione genera anche paura e ansia di perdere questa certezza. Nessun fatto è portatore di angoscia in sé. Se quindi riuscissimo a vedere ogni fatto come se fosse la prima volta, senza affezionarci o respingerlo, potremmo liberarci dal fardello di queste sofferenze e paure ed occuparci liberamente e consciamente della realtà che, sempre nuova, ci si presenta di fronte.

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