venerdì 16 settembre 2011

Pene Repressive fino alla Morte

DI VALERIO PASSERI

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Ogni volta che si parla di efferati delitti siamo tutti portati – in maniera particolare se il tg ne sottolinea le mancate condanne – a chiedere che la pena sia certa e giusta, dove per giusta spesso si intende più severa, quindi, più anni di carcere. Ma a cosa servono le pene? Innanzitutto, non sono concepite come punizioni; le sanzioni contenute nelle leggi, nascono in primis come deterrente per i crimini e poi per allontanare gli individui che possono recare danno alla società per il tempo necessario affinché possano essere “rieducati” a vivere nella società stessa.

La seconda funzione è quindi pedagogica e non punitiva e fine a se stessa. Quest’ultima parte sembra però esser stata travisata nel senso comune negli anni. La famosa certezza della pena si è trasformata da meccanismo deterrente a punizione per il mostro di turno, affinché la folla frustrata possa assistere a quella che chiamano – anche in questo caso parola spesso usata volutamente a sproposito – giustizia. Concetti travisati e rigirati a parte, chiedere che le pene siano più severe è funzionale al loro meccanismo deterrente? Prendendo il massimo esempio di pena, ovvero l’omicidio – o come lo si preferisce chiamare, pena di morte – che viene utilizzato in molti stati USA, se fosse vero che pena maggiore è uguale a minor crimini, gli stati che la utilizzano dovrebbero avere una percentuale di crimini di molto inferiore ai paesi dove questa non è prevista. Non servono studi troppo approfonditi per accorgersi che così invece non avviene. Il motivo è che aumentare la pena è un deterrente che funziona per un lasso di tempo finito; gli individui con il passare del tempo si abituano – nel vero senso della parola – alla nuova pena finché essa non fa più paura di quanta non ne facesse la precedente. Come se non bastasse, la massima pena svaluta di molto il valore della vita; se lo stato che è l’unione di tutti i cittadini e quindi in qualche modo l’ente morale predisposto a dare l’esempio, si fa fautore di omicidi, automaticamente l’omicidio viene pian piano accettato come “normale” quando si subisce un torto. Se l’obiettivo delle pene torna ad essere quello originale, ovvero di eliminare le trasgressioni e non i trasgressori, l’unica via è quella di puntare sull’educazione. E l’educazione suprema in questo caso è l’educazione al culto della vita. Far comprendere che la vita è la cosa più bella, preziosa e importante che si trova sul nostro pianeta.

L’essere umano e gli esseri viventi in generale, sono le vere opere d’arte di questo mondo, per via delle loro incredibili differenze, varietà e per via della loro caducità - niente è più bello di ciò che è destinato a finire. Paradossalmente sarebbe sufficiente questa lezione per eliminare ogni tipo di crimine; se si riconoscesse in ogni essere che ci sta di fianco un’autentica opera d’arte unica ed irripetibile è impossibile che si possa pensare di nuocere alla sua salute. La vera soluzione quindi sta nell’educazione e non nell’assecondare la parte emotiva che è in tutti noi, volutamente stimolata da tv e giornali nei loro racconti sulla criminalità.

Farsi in prima persona educatori, dando il buon esempio è senza dubbio il primo e più importante passo verso una società veramente più giusta.

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