domenica 9 gennaio 2011

Il Concetto di Istituzione

DI ENRICO GALAVOTTI

Dobbiamo superare il concetto di "istituzione", che rappresenta una forma di "idealismo", in quanto si ritiene che possano esistere strutture perfette, adeguate ai molteplici bisogni e interessi della società, in grado di funzionare da sole, come per una "magica volontà dall'alto". Si ha infatti l'assurda pretesa che le istituzioni facciano quello che la società non riesce più a fare come "società".

In realtà l'istituzione, di per sé, a prescindere dalla volontà di chi la rappresenta, tende a negare la realtà, poiché per funzionare ha bisogno di semplificare la complessità delle cose reali. E nella misura in cui si separa dalla realtà essa inevitabilmente, nella propria presunta autonomia, tende a complicare le cose semplici, grazie ai meccanismi della burocrazia. Nata con la pretesa d'essere un modello di perfezione, l'istituzione, col tempo, è diventata esattamente il contrario di quanto la società borghese si era prefissa. D'altra parte non poteva essere diversamente, poiché l'istituzione, per sua natura, resta uno strumento nelle mani di un potere centralizzato, autoritario, burocratico, slegato dalla vita quotidiana della gente comune. L'istituzione fa parte della società divisa in classi e, come tale, tende a riprodurre tale divisione: essa, in sostanza, serve alla classe egemone per controllare e dominare tutte le altre. L'istituzione è incapace di accogliere la realtà così com'è: essa infatti ha un'immagine simbolizzata della realtà, e con una forte valenza negativa. L'istituzione avverte la realtà sociale con fastidio, perché se ne sente giudicata. La rivalsa delle istituzioni sulla realtà è appunto quella di rendere la vita impossibile o inutile la protesta. E' un meccanismo perverso ma inevitabile, che s'instaura nel rapporto pubblico tra cittadino e istituzioni. La realtà non può mai essere accolta con tutti i suoi difetti e le sue eccezioni. I casi particolari danno fastidio, a meno che non siano di prestigio, che non comportino un qualche interesse di carriera, di guadagno, di favoritismo o di casta: in questo caso l'istituzione si lascia facilmente scavalcare, nel rispetto formale delle procedure, al fine di poter essere meglio riconfermata. Oggi questo fenomeno rientra in quello, ben più complesso, chiamato "tangentopoli". Normalmente i difetti della vita reale non vengono presi in considerazione, poiché l'istituzione è già troppo angosciata dalle proprie quotidiane disfunzioni per avere il tempo di applicarsi alla "complessità". Tuttavia, qualunque esemplificazione della realtà, alla lunga rende l'istituzione obsoleta, inutile. In questa paralisi, chi dispone di potere può vivere sfruttando al meglio le istituzioni, mentre gli altri continuano a restarne schiacciati. In luogo dell'istituzione va affermata la volontà dei cittadini di autorganizzarsi, amministrando collettivamente le proprie risorse materiali, umane e finanziarie. L'istituzione spinge al conformismo, alla delega; l'autonomia spinge alla responsabilità personale. L'autogestione valorizza le diverse potenzialità, inclinazioni, attitudini. Le istituzioni invece vivono all'insegna dello spreco e dell'inefficienza.

La società, per dimostrare che non ha bisogno delle istituzioni, deve dimostrare di sapersi adeguare ai bisogni. In questo senso il volontariato è solo il primo passo: esso è nato per supplire a una carenza, ma il suo destino non deve diventare quello di puntellare una struttura che fa acqua da tutte le parti. Il volontariato deve darsi un'identità politica che metta all'ordine del giorno il problema di una transizione a una società globalmente diversa.

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