martedì 30 novembre 2010

La Caduta dell'Impero

DI NUCCIO CANTELMI

impero

La sfiducia nel futuro, lo shock sistemico e i segni di una nuova speranza. Mala tempora. Questo è ciò che sentiamo ripetere in ogni dove. La crisi. C'è crisi. Grossa crisi. Eppure, ripercorrendo a ritroso gli ultimi anni, mi viene da pensare che mai crisi economica fu più annunciata ed organizzata di questa. La “crisi” che stiamo attraversando non è una crisi economica. Non è neppure una crisi istituzionale. Forse non è neppure una crisi.

Sul piano economico, mi sento di affermare che il periodo di (pseudo)recessione che stiamo attraversando è il frutto di un preciso disegno di conservazione da parte dei soggetti economici che controllano vari mercati a livello internazionale. Di fronte le opportunità che le nuove tecnologie ed i nuovi modelli di scambio (non solo economico) stanno imponendo nel mondo, la strategia adottata è stata quella della conservazione ad oltranza, della resistenza a tutti i costi. Negare il cambiamento ed arroccarsi sulle posizioni di monopolio è quanto di più sciocco si possa pensare. La storia insegna che ad un iniziale sentore di vittoria, fa seguito una inesorabile sconfitta. Eppure, nella vasca dei pesci, gli squali hanno iniziato a mangiare i pesci piccoli, poi i medi ed ora cominciano a guardarsi in cagnesco tra di loro (non per nulla li chiamano anche pescecani). Provocare artatamente una profonda recessione economica ha avuto, dunque, il duplice effetto di scoraggiare il cambiamento che viene dal basso (attraverso l'inventiva e la duttilità delle PMI) e di scoraggiare il senso del progresso e l'ottimismo nel futuro della opinione pubblica, in puro stile “shock doctrine”. Ecco che, per un verso si perde il vero valore incentivante della economia del territorio perché gli imprenditori che creano ricchezza distribuita attraverso la gestione responsabile delle risorse locali sono disincentivati ad investire, per altro verso, la gente comune tende a perdere di iniziativa personale, ad affidarsi all'intervento pubblico ed aggrapparsi a quel poco che ha.

Nasce, così, un vero e proprio conflitto di classe, un conflitto sociale. Il dipendente contro l'imprenditore, il pubblico contro il privato, il ricco contro il povero, tutti contro tutti. La diffidenza sociale è il segno principale di questa “crisi”. Se non mi fido non coopero, se non coopero non spendo risorse, se non spendo risorse non cresco... Il cane che si morde la coda (circolo vizioso autorafforzativo). L'effetto primario di questa situazione è il consolidamento delle posizioni di privilegio e monopolio. L'effetto secondario (non meno importante e non meno atteso) è la completa disillusione sul futuro da parte della “common people”. Eppure, anche la caduta dell'impero romano ha portato alla nascita di nuovi modelli di equilibrio. Magari frammentati (la nascita dei comuni in Italia e dei regni sovrani nel resto d'Europa). Magari diversi dal mito di unità imperiale. Ma pur sempre idonei a sostenere il percorso sociale, economico ed istituzionale che si veniva formando. Anche oggi, a saperli leggere, si possono notare i semi di ciò che sarà il futuro.  Quando l'era della distribuzione di massa, della globalizzazione coatta sarà finita, emergeranno naturalmente nuovi modelli di relazione, basati sulla cooperazione spontanea, sulla condivisione delle risorse e sulla partecipazione. Abbiamo avuto il mito della proprietà pubblica. Abbiamo avuto il sogno dell'iniziativa privata. Quello che seguirà sarà una via nuova e diversa, basata non più sulla negazione dell'individualità o sulla sua estrema esaltazione, ma sul riconoscimento che l'interesse del singolo può coincidere con quello collettivo.

I segni ci sono già. Il software libero, ad esempio, ci insegna un modello di sviluppo integrato, nel quale grandi capitali vengono a coesistere con piccole e grandi comunità di volontari. La ricchezza, in futuro, non sarà più definita sulla base del possesso e della proprietà materiale. Il PIL non potrà più crescere all'infinito, come neppure i consumi.

I segni ci sono già,
dobbiamo cominciare a viverli.

 

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